Mancano ormai 100 giorni al calcio di inizio dei campionati del mondo in Brasile, proviamo a scoprire più da vicino la patria dei maestri del futebol cercando di smentire i luoghi comuni e di visitare i posti più esclusivi. Buon viaggio!!
Quando dici Maracanà, la prima cosa che ti salta in mente è l’ormai celebre sketch di Lino Banfi che nel film “L’allenatore nel pallone” prova a chiamare la moglie Mara Canà in Italia per comunicarle di aver ingaggiato Junior, una bufala visto che il giocatore era stato appena preso dal Torino. Quando ci metti piede per la prima volta, a pochi mesi dai mondiali di calcio, ti da l’idea di un mega soggiorno pronto ad ospitare il party del secolo.
Il più famoso stadio del Brasile infatti non ha, più l’aspetto del catino infernale dove duecento mila persone, secondo le stime ufficiali, forse anche di più, videro davanti ai propri occhi consumarsi la più grande tragedia sportiva della nazionale verde oro. Era il 16 luglio del 1950, nel mondiale giocato in casa, erano primi in classifica all’ultima partita nel girone decisivo, bastava un pareggio per laurearsi per la prima volta campioni del mondo. E invece arrivò la vittoria dell’Uruguay, con Ghiggia che firmò nel finale un inaspettato 2 a 1.
Il restyling imposto dalla Fifa ha ridotto la capienza a circa 80 mila posti, tutti rigorosamente a sedere. Più che in uno stadio sembra di essere al cinema, per la comodità dei seggiolini, per la zona vip, per gli spazi ricreativi, per l’incredibile effetto cromatico che cattura gli occhi, dove il colore dominante è il celeste.
Insieme alla comitiva di stranieri con cui ho partecipato alla visita guidata, diretta da due belle e simpatiche carioca (non poteva essere altrimenti), ci siamo chiesti il perché di quel colore. E abbiamo pensato che forse è il colore impresso negli occhi dei brasiliani dal 1950, il celeste dell’Uruguay. La maglietta che ho deciso di vestire, in onore a quell’impresa unica nella storia del calcio, quando tutti ti danno per sconfitto, e invece fai piangere un popolo che ride sempre.
Curiosamente durante la visita nessuno parla di quella partita, cancellata al più presto dalla memoria, perché causò la morte di quasi cento persone. Per infarto o per suicidio, per una festa annunciata e trasformatasi in un incubo.Un Maracanazo appunto, termine oggi associato a sconfitte inattese proprio come quella. Invece il Brasile celebra Zico, con una statua che ne ricorda un gesto acrobatico, miglior marcatore in quello stadio, e Pelè, “O rei” che al Maracanà siglò il millesimo gol di una carriera infinita.Alcuni anni dopo quella tragedia sportiva il Maracanà fu intitolato a Mario Filho, un giornalista brasiliano che raccontò le imprese del leggendario Brasile. Ma nell’immaginario collettivo resta sempre il Maracanà, come dimostra la stazione della Metro che ti porta a due passi dall’impianto.
Dopo la visita alle tribune, è tempo di entrare nella pancia dello stadio. Gli spogliatoi luccicano, non si sente il sudore dei giocatori di Botafogo e Flamengo che si allenano ogni sera, ma si respira il mito della Seleçao, che qui ha vinto la Confederation Cup demolendo la Spagna. Passiamo nella sala del riscaldamento, dove l’emozione del pregara viene repressa saltellando tra quattro mura. Finalmente si va in campo, sotto un sole cocente come solo Rio sa offrire. L’erba profuma di attesa, per un evento che sta per cominciare. 64 anni dopo il Maracanà vuole finalmente festeggiare.