“PER QUEL CHE RIGUARDA IL PANE LA COSA È CHIARA / PER QUEL CHE RIGUARDA LA PACE ANCHE / MA LA QUESTIONE CARDINALE …” ripeteva per la quinta volta, a voce alta, Stefano Magli, l’agente di Memoria Antica della squadra. La comandante Akila Khaspros lo guardava impaziente ma rassegnata: “Non c’è nessun indizio, nulla che ci possa aiutare… Mi dispiace Stefano siamo ancora a zero. Sappiamo solo che si chiamava Meb, almeno, alcuni coloni astrali questo ricordano”.
“Comandante Akila, come sai bene, ora siamo senza memorie in nuvola, cioè senza storia, anche quella con la esse maiuscola…” ricordò diligentemente l’agente Magli. “Ma ho comunque recuperato questa frase, sembra una poesia, da alcuni libri stampati, sai, quelli in carta…” “Poi ho trovato dei vecchi file, qualcosa che arriva della navigazione che si usava fare in quella che chiamavano Rete…” Guardava il traffico in strada e in aria. Veloce e ordinato, pur senza memorie connesse.
L’autobus a due piani, la sede di copertura della Memory Squad, sobbalzava un poco. I vetri schermati incorniciavano una città convulsa, forse disorientata. Il Pianeta era senza memorie, tutte sganciate dalle “nuvole quantiche”, un vecchio termine ancora in uso per indicare ogni possibile memoria connessa. Furono disconnesse col Grande Ictus Mnemonico di quarantadue giorni prima, quando ogni dato online fu annullato, in pochi attimi, dal controverso dottor Annthok Mabiis. Il bus frenò di colpo. La tazza di Magli volò contro l’unico schermo funzionante insieme al poco caffè rimasto che colò freddo e marrone. I figuranti passeggeri del piano di sotto uscirono dal bus sgomitando in strada.
Il ciclista era riverso e guardava il sole stringendo gli occhi, verdi, circondati da rigoli rossi. Il motociclista vettoriale che l’aveva investito era volato via, irraggiungibile, ora che tutte le reti mnemoniche individuali erano state annullate.
Enriko Von Main, l’agente esperto di veicoli, anche antichi, e Afro Allaa, l’agente navigatore e di sopravvivenza scesero con calma la scala interna del bus. Si mischiarono alla folla dei curiosi e dei soccorritori. Si avvicinarono al non più giovanissimo ciclista agonizzante. Un piccolo tatuaggio alla base del collo, un linea tratteggiata viola di pochi centimetri, che terminava con la scritta “M122”, indicò ai due agenti che si trattava dell’Agente-Recuperatore-a-Mente che avevano chiesto al comando centrale. Il numero indicava l’età. La scena era la tragica replica di tante ultime-parole-in-punto-di-morte recitate a teatro, nei film, nei romanzi, nelle storie che da sempre e quotidianamente cibano gli umani.
“Dopo l’inverno… delle democrazie… dopo l’imperio… dei mezzi di comunicazione… di massa…” M122 sputava saliva, sangue e parole non comprensibili, almeno ai due agenti. Intanto erano scesi dall’autobus anche la comandante Khaspros e l’agente Magli. Ora erano in quattro, chini su M122.
“Poi venne il Web… non Meb…” Era un bisbiglio, un rantolo rivelatore. Magli aveva l’orecchio quasi schiacciato sulla bocca del povero corriere Recuperatore-a-Mente.
“Voi non potete stare qui! Voi chi siete, eh?” “E’ in arrivo il robot soccorritore! Sloggiate!” urlò in sequenza il controllore del traffico-livello-terra, finalmente accorso.
“Miliardi collegati… tutti collegati…” sembrava quasi che quella maschera di sangue sorridesse....continua qui la lettura su Agendadigitale.eu