Partecipa a Notizie Nazionali

Sei già registrato? Accedi

Password dimenticata? Recuperala

GIOBERTI,VISIONARIO O REALISTA?

Condividi su:

 

Bruxelles 1843.L'Europa è scossa dai moti. Siamo in pieno Risorgimento italiano, l'Italia del Nord è ancora divisa in tanti 'staterelli' sotto il controllo austriaco e le iniziative mazziniane di rivoluzione totale entrano già in crisi. Le nuove correnti patriottiche, che pretendono una rivoluzione in senso “moderato” di stampo monarchico-costituzionale, sono in attesa di un programma politico coerente da contrapporre alle idee democratico-repubblicane perseguite dai mazziniani. Giustappunto, nel 1843 viene pubblicata un' opera in due volumi, destinata a grande risonanza in tutta la penisola che registrerà vendite per circa 80.000 copie tra il 1843 e il 1848. Si tratta del “Del Primato morale e civile degli italiani” di Vincenzo Gioberti. Abate e sacerdote non denigrò gli studi filosofici arrivando ad affermare che

“la lunga e costante infelicità dell’Italia deriva principalmente dal poco uso del pensiero, cioè dalla poca filosofia”

da qui nasce un forte impegno politico che lo porterà alla corte di Carlo Alberto, monarca del Regno di Sardegna. Acquisisce subito prestigio come intellettuale e diviene molto influente. Successivamente viene costretto all'esilio da parte del partito della Corona che lo considera un personaggio eccessivamente prestigioso ed influente, mietitore di consensi e assai pericoloso e scomodo.

Cosa intende Gioberti per “primato morale e civile degli italiani”? Cosa spinge un uomo di chiesa a fomentare gli spiriti patriottici e, allo stesso tempo, una Curia che in linea di massima si disinteressava della causa italiana di liberazione?

La riflessione di Gioberti parte da molto lontano e ripercorre la nascita e lo sviluppo della stirpe italiana che si è forgiata, secondo il pensatore, anche col fuoco del Cristianesimo. L'essere diventata poi la terra dove risiede il Papato conferisce allo stivale un “primato morale” su tutti gli altri popoli ed assicura nello stesso tempo una coesione interna, una certa consapevolezza italiana – vera o presunta che fosse – di avere tutti nelle vene lo stesso sangue. Secondo l'abate, esiste un forte sentimento identitario italiano, rafforzato dalla consapevolezza degli abitanti del Bel Paese di essere parte di uno stesso ceppo, un ceppo che ha affinato le sue qualità morali e le sue arti con l'apporto essenziale del Cattolicesimo. Sta qui la grande novità introdotta da Gioberti: l'aver legato indissolubilmente elementi sacri e profani. Unità e cattolicesimo: i patrioti non devono più essere diffidenti e considerare l'apparato cattolico una presenza ingombrante inibitrice dello slancio rivoluzionario. D'altro canto la Chiesa deve farsi carico della sensibilizzazione dei fedeli alla causa dell'unità. Nei due volumi tradizione e modernità sembrano trovare dei punti di raccordo. Gioberti non è un pensatore utopistico e non si limita a forgiare ideologie, proponendo anche una soluzione pratica.  Il connubio Unità-Cattolicesimo deve prendere forma in una confederazione comprendente gli stati italiani esistenti. L'autorità politico-spirituale del Papa, in ragione della superiorità etica che gli deriva dal suo magistero, è posto a capo della nuova organizzazione pensata da Gioberti. In netta antitesi con Mazzini, il popolo non può essere soggetto ad azione politica poiché questo tipo di politica “non è altro che un desiderio e non un fatto”. In virtù di ciò la guida del risorgimento nazionale dovrà essere, usando le parole dello stesso Gioberti,

“monarchica ed aristocratica, cioè risedente nei principi e avvalorata dal corso degl' ingegni più eccellenti, che sono il patriziato naturale e perpetuo delle nazioni”.

Il tutto può essere riassunto nel termine “neoguelfismo” dal partito medievale che sosteneva  la causa del Papa. E' indubbio che l'opera abbia avuto un' importanza cruciale nella letteratura politica risorgimentale, considerando le copie vendute al tempo in rapporto all'alta percentuale di analfabetismo che nella penisola colpiva tra il 50% e 80% della popolazione e allo stile dello scritto, compassato e di difficile lettura. L' opera può essere considerata un vero e proprio “bestseller”. L'operato di Gioberti tuttavia non fu immune da critiche; già Cesare Balbo aveva osservato che l'estromissione del problema Austria nella trattazione di Gioberti era come non voler esaminare la questione chiave del Risorgimento italiano. Nonostante ciò, con l' elezione nel 1846 di Pio IX , la visione di Gioberti sembrò in procinto di realizzarsi in quanto le riforme introdotte dal nuovo pontefice lo identificavano con la figura del papa liberale immaginato dai neoguelfi. La storia prenderà però un'altra piega: la proposta confederale fallirà, così come i moti patriottici del 1848.
Se la proposta  giobertina da un lato è da considerarsi realistica per la situazione italiana ottocentesca, non si può di certo tralasciare il fatto che abbia lasciato aperti numerosi interrogativi. Alcuni storici la ritengono azzardata o addirittura infondata.

Analizzando la situazione attuale c'è da chiedersi se Gioberti sia stato in effetti quel visionario che si è voluto far credere. Di fronte a un' Italia divisa in regioni – che conservano alcune autonomie – e un' autorità papale che ha seguaci in tutto il mondo, e che viene considerata una delle più grandi autorità morali del pianeta, si può affermare che il discorso di Gioberti sia totalmente utopistico e figlio dei sogni dell'autore?

 

Condividi su:

Seguici su Facebook