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Storia di un intellettuale scomodo: Nicola Bombacci

Da comunista a repubblichino

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Nicola Bombacci nacque a Civitella di Romagna nel 1879, da una famiglia di agricoltori molto legata alla religione. Fu avviato agli studi religiosi, ma nel 1900 li interruppe.
Nel 1903 entra a far parte del partito socialista.
Grazie alla sua formidabile eloquenza e retorica si fece notare all’interno del partito.
Il trampolino di lancio lo ebbe negli anni 1914-1915, quando divenne la guida della sede socialista di Modena dove Benito Mussolini, al tempo esponente di spicco del PSI, lo definì il Kaiser di Modena.
Nel 1919 redasse con Serrati, Gennari e Salvadori il programma della frazione massimalista, vincente al XVI Congresso Nazionale del PSI, subito dopo fu  eletto segretario del Partito. Nelle prime elezioni del dopoguerra fu eletto deputato alla Camera e risultò una delle figure più potenti e visibili del socialismo massimalista nel biennio rosso. Nel 1920 fu il primo socialista italiano ad incontrare dei rappresentanti bolscevichi a Copenaghen.
Fece parte della delegazione italiana che andò nella Russia sovietica, partecipando anche al II Congresso del Comitern, li incontrò nuovamente l’amico Lenin, al cui fianco aveva combattuto nel 1917, e divenne l’uomo di fiducia della Russia.
Nel 1921 a Livorno assieme a Bordiga e Gramsci fu il fautore della scissione del PSI e la creazione del PCDI (partito comunista d’Italia).
Nicola Bombacci fu un comunista anomalo non si allineò alla direttive “ordinoviste” di Gramsci ne alla linea dell’astensionismo di Bordiga.
Una prima crepa con il PCDI si ebbe nel 1923 quando Bombacci in parlamento, dopo aver difeso il trattato di commercio fra l'Unione Sovietica e l'Italia, propose di unire le due rivoluzioni quella russa e quella fascista per sconfiggere l’egemonia delle plutocrazie capitaliste. Nel 1927 fu espulso dal partito e inizio il “periodo del silenzio”. Cadde in miseria e chiese aiuto al vecchio compagno Mussolini che gli pagò le cure mediche, gli forni lavoro e gli concesse di fondare un giornale “La Verità” a cui collaborò anche Labriola.
Bombacci non prese mai la tessera del PNF ed il suo arrivo a Salò nel 1943 sorprese lo stesso Mussolini. Divenne nel governo repubblichino consigliere del duce e promosse il progetto di socializzazione delle imprese e dei mezzi di produzione, notevolmente propagandato dal fascismo repubblicano.
Negli ultimi mesi di guerra non smise di sostenere la causa del fascismo come unica vera rivoluzione e realizzazione del trionfo del lavoro, dando conferenze e facendo comizi tra gli operai nelle piazze del Nord. Così si esprimeva a Genova nel 1945: “Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l’amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre. Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che il bolscevismo fosse all’avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell’inganno”.
Rimase vicino a Mussolini fino alla fine, fu catturato dai partigiani della brigata Garibaldi assieme al duce e Pavolini. Mentre i partigiani si apprestavamo a fucilarlo Bombacci gridò: “Viva l’Italia, viva il socialismo”. Venne appeso assieme a Mussolini a Piazzale Loreto.

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