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Il ruolo della Corte Suprema nel sistema Usa

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Numerose e valide sono le motivazioni per affrontare una riflessione sul caldo tema della giustizia. Doverosa è tuttavia una analisi degli organi e degli apparati al fine di evitare la caduta in osservazioni banali e populiste, ponendo imprescindibili premesse storiche. Affrontare l'argomento volendosi proiettare al di fuori del continente europeo, rende inevitabile un, seppur vago, riferimento alla Corte Suprema degli U.S.A.
Sono stati molti gli appellativi dati agli Stati Uniti d'America durante la loro storia: da “paese multiculturale” a “terra di sogni e business” a “il paese dove la democrazia funziona meglio ed è posta alla base dell'ordinamento statuale”. La democrazia è un concetto molto caro agli statunitensi e lo fu anche per i Padri Fondatori che, a fine XVIII secolo, riuscirono a legare indissolubilmente tale idea alla sovranità popolare espressa in origine dallo slancio con cui le tredici colonie si autoproclamarono indipendenti dalla madrepatria inglese. Sarà la Dichiarazione di Indipendenza del 4 luglio 1776 a sancire tutto ciò, confermato poi nel 1787 dalla redazione della Costituzione entrata in vigore due anni dopo e validissima ancora oggi.
La Costituzione designa una federazione di stati con un governo centrale forte basato sulla autorità del popolo americano nel suo complesso. La costituzione e le altre leggi degli Stati Uniti sono “legge suprema del paese” alla quale gli stati devono inchinarsi. Si istituisce quindi una complessa architettura che attribuisce i tre poteri fondamentali a tre organi distinti e indipendenti con controllo reciproco. Il potere legislativo è attribuito a un Congresso bicamerale, quello esecutivo alla figura del Presidente e quello giudiziario a una Corte Suprema.
Il tutto viene meglio definito nel 1791 dal Bill of Rights (letteralmente progetto di legge sui diritti) con cui vengono sanciti i diritti individuali propri di ogni cittadino americano e tutto ciò che il governo federale non può fare nella sfera privata.
Il terzo potere istituito dalla Costituzione, quello giudiziario, si pone come vero e proprio custode della Costituzione. Tale potere è conferito alla Corte Suprema e ad un sistema ad essa subordinato di tribunali federali. Il numero dei giudici non è fissato dalla costituzione ed ha suvito variazioni nel corso della storia. Ad oggi la Corte è composta dal giudice capo, o  Chief Justice, e otto giudici associati, o Associate Justices.
I giudici sono nominati dal Presidente con il consenso del Senato; il potere esecutivo e quello legislativo concorrono così, attraverso un sistema di pesi e contrappesi, a plasmare il potere giudiziario. Ma poiché ogni potere deve essere indipendente per le materie cui tratta, i giudici sono inamovibili e restano in carica a vita.
Fu una celebre sentenza del 1803 (Marbury vs Madison) a delineare la funzione di judicial review tipica della Corte. Il giudice capo Marshall dichiarò infatti che un atto del Congresso  in conflitto con “la legge suprema del paese” era nullo e che era compito della Corte determinare se tale conflitto esistesse.
Per fare ricorso alla Corte Suprema occorre presentare una petizione con cui si ordina ai giudici inferiori di trasmettere gli atti processuali relativi a un determinato caso per essere riesaminati dalla Corte Suprema. Come afferma il regolamento della Corte, il riesame “non è un diritto ma dipende dalla valutazione dei giudici” le istanze possono essere quindi accolte o respinte. Al momento ne vengono presentate ogni anno tra settemila e ottomila e ne sono ammesse e discusse in media tra le ottanta e le novanta.
Una volta ammesso il ricorso, la Corte fissa la data dell'udienza. I giudici fanno il loro ingresso attraverso le tende di porpora e prendono posto dietro il grande banco in mogano; il giudice capo al centro, i giudici associati alla sua destra e alla sua sinistra. Al centro dell'aula il podio da cui ciascun avvocato si rivolge alla Corte. L'ambiente della Corte, l'architettura, l'atmosfera che si respira e le incessanti domande dei giudici rivolte agli avvocati contribuiscono a creare una sorta di timore reverenziale.
Dopo aver svolto l'udienza il caso viene poi discusso in camera di  consiglio, dove la conferenza si limita a registrare il voto di ciascun giudice.  Il giudice capo si esprime per primo, a seguire tutti gli altri secondo l'anzianità di nomina. La decisioni sono prese a maggioranza e in caso di parità la sentenza dei giudici inferiori è confermata. Ogni giudice poi mette per iscritto le sue motivazioni. Il tutto viene poi pubblicato e reso quindi visibile nel sito web della Corte.
Molti storici hanno studiato il ruolo che ha avuto tale organo nel corso del tempo. In molti hanno contestato che almeno dal 1953 in poi la Corte ha svolto un ruolo di supplenza delle decisioni politiche del tutto imprevisto dai Padri Fondatori. E' di fatto diventato un organo di governo di ultima istanza, una terza camera dove vengono decise questioni politiche ed amministrative. Fu una sentenza del 1954, da parte del giudice Warren, che dichiarò incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole, e scatenare un'accanita protesta da parte dei politici sudisti e  a avvalorare tale critica.
Resta da dire che la “scorciatoia” giudiziaria ha certamente permesso di allargare la sfera di libertà dei cittadini americani, in particolare degli afroamericani e delle donne, ma al prezzo di ignorare la partecipazione popolare a quel processo politico che nel lungo periodo è l'unica difesa di ogni diritto. E' proprio un giudice tra i più conservatori, Antonin Scalia, ad affermare che non sia democratico che giudici non eletti possano decidere su molte materie. La questione resta aperta.

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