Partite sperimentali, risultati da mettere in provetta. Come basi di un vaccino, da sviluppare per evitare disastri futuri.
Per l’Italia di Antonio Conte le ultime due amichevoli (e quindi le ultime due partite) del 2015 non sono state proprio due frittate, ma due pasticci sì: a Bruxelles gli errori di Chiellini e Bonucci, due colonne della nostra squadra azzurra, hanno consentito al Belgio, venerdì scorso, di rimontare e dilagare; a Bologna, poi, martedì sera una incomprensione tra Darmian e Barzagli, altri due sicuri titolari della Nazionale in formato-Europei e oltre, ha consentito ai rumeni di passare in vantaggio quasi all’inizio della gara.
Anche nella dimensione calcistica, da alcuni anni il merito (merito riconosciuto e storicizzato) per l’Italia non conta granché. A livello di rappresentativa nazionale, lo sappiamo bene, il nostro Paese ha vinto ben quattro titoli mondiali, un Europeo e inoltre ha collezionato diversi altri podi nelle due manifestazioni. Lo condanna un progressivo, sensibile e inesorabile declino dalla finale dell’Europeo 2012 ad oggi: in questo lasso di tempo, infatti, gli azzurri si sono caratterizzati per un trend di risultati, tra gare con punti in palio ed amichevoli, che, un po’ per l’involuzione strutturale del nostro football un po’ per circostanze congiunturali, non è stato proprio al top. Al contrario il Belgio, una nazionale che in tutta la sua storia ha conquistato come miglior piazzamento un quarto posto ai Mondiali dell’86, grazie ad una continuità di risultati encomiabile sul piano internazionale negli ultimi anni, domina il ranking continentale (la classifica virtuale e virtuosa che premia, appunto, i successi medio-piccoli ottenuti con costanza in un certo periodo cronologico piuttosto che le grandi imprese isolate nel tempo), e questo gli consente, ora, di essere temuta come una corazzata.
Nella partita del 13 novembre (quasi nelle stesse orein cui, apochi chilometri di distanza, si consumavano i luttuosissimi eventi di cui sappiamo), l’Italia, priva di un faro come Verratti e affidata alla doppia regia Marchisio-Parolo, era passata in vantaggio al 3’ con Candreva, ma poi, anche a causa, come dicevamo, delle topiche dei suoi uomini migliori, si è persa per strada, o meglio, è andata in paura, e ha capitolato. Ottenuto il pareggio al 13’ con Vertonghen sugli sviluppi di un calcio d’angolo “concesso” da Chiellini, i padroni di casa hanno saputo aspettare il 74’ per colpire con De Bruyne, approfittando di un pallone regalato loro da Bonucci. Colpita al cuore, l’Italia si scopriva nelle retrovie per sbilanciarsi in avanti, e all’83’ subiva il terzo gol belga, ad opera di Batshuayi.
Discorso differente contro la Romania, ma non molto migliore: passata in svantaggio, la squadra di Conte, ancora orfana di Verratti e con Soriano al posto di Parolo nel coordinamento di centrocampo a fianco di Marchisio, ha sudato sette camicie per pervenire al pareggio, e poi, dopo aver dato fondo alle sue energie per trovare il 2-1, si è fatta raggiungere nel finale. All’8’ il gol di Stancu, che spinge dentro una palla giacente davanti a Buffon, mal gestita sull’asse Darmian-Barzagli, era una doccia fredda per gli azzurri, che però avevano il merito di non farsi tagliare le gambe e, anzi, di saper opporre una reazione pronta, e insistita: ma tutt’altro che incisiva. Sicché il primo tempo scivolava via tra fuorigioco di Éder, tiri potenti ma imprecisi di Pellè e Marchisio e guizzi di El-Shaarawi non irresistibili. Nel secondo tempo il copione non sarebbe cambiato, se al 55’ un rigore, fischiato per atterramento di Éder, non avesse dato una mano ai padroni di casa. Era Marchisio a trasformarlo, e a consentire a Conte di operare un tris di sostituzioni-chiave in uno scenario di maggiore tranquillità. E a ribaltare il risultato, poi, ci pensava proprio uno dei tre nuovi entrati, poi, e cioè Gabbiadini, con un colpo di testa al 65’. Poi lo stesso attaccante partenopeo, per un infortunio alla caviglia, era costretto ad uscire all’83’ e a lasciare la sua squadra in dieci (a quel punto i cambi erano esauriti). Brutto presagio: due minuti dopo, la Romania faceva 2-2. E non al culmine di una folata offensiva tutt’altro che arginabile: bensì sugli sviluppi di una punizione battuta dalla trequarti destra, che Sirigu, sostituto di Buffon dal 69’, aveva anche neutralizzato per metà. Purtroppo, però, dopo essersi tuffato sul colpo di testa di Chiriches, il portiere azzurro non ha fatto in tempo a mettere un piede sul tiro ravvicinato di Andone, che gli stava davanti come un cecchino. Giochi fatti, a quel punto, serata finita.
Fossero state due partite di un girone della fase finale dell’Europeo, l’Italia starebbe già con un piede e mezzo nella fossa. Fortuna, invece, che si è trattato solo di due brutte amichevoli (le ennesime): il problema, però, è che c’è qualcuno, ai piani alti del calcio, che tiene conto di queste gare allo stesso modo di quelle considerate generalmente più importati. Nel ranking, per fare la differenza la chiave è… non fare differenza!