Qualcuno aveva cercato di insabbiarlo. E questo qualcuno era al vertice del movimento mondiale dell'atleica leggera.
Parliamo della Iaaf, l’Associazione Internazionale delle Federazioni di Atletica Leggera, che nel 2011 censurò un compromettente rapporto medico, curato dall’Università di Tubinga, sul doping ai campionati mondiali di Atletica ospitati in Corea.
E ci riuscì perfettamente: per ben tre anni, infatti, nessuno ne parlò più, poi a partire dal 2 agosto scorso, qualcosa è cominciato a trapelare, grazie al Sunday Times e alla rete televisiva tedesca Ard. Ben centoquarantasei medaglie, a tutti i livelli e in più gare nel corso di quei Mondiali, erano state vinte con “test dubbi”. Ed è solo una goccia nell’oceano di dati sconvolgenti che il "dossier x" ha tenuto silenziosamente custoditi per tanto tempo.
Un’Atletopoli alle porte? Ciò che conta davvero, com’è naturale, è quello che i dati impietosamente presentano. Praticamente un terzo dei 1800 atleti in lizza nel torneo iridato di quell’anno aveva confessato di aver fatto ricorso a sostanze proibite nei dodici mesi precedenti all’inizio di esso.
“Il doping è estremamente diffuso e resta un fenomeno fuori controllo nel mondo dell’atletica.” Con questa riflessione si conclude il “rapporto proibito”, che era stato commissionato proprio dalla Iaaf con la partecipazione finanziaria dell’Agenzia mondiale Antidoping. La Iaaf, il cui nuovo presidente Coe ha promesso "tolleranza zero" nei confronti del doping, sin dall’inizio, in realtà, si era riservata il diritto di veto sulla sua pubblicazione; un diritto che ha inteso esercitare, forse nell’intenzione di non destabilizzare il sistema con verità troppo scottanti. Ma quelle verità sono ora venute a galla.