Come da tradizione: al Giro d’Italia non bisogna mai aspettare l’ultima tappa per sapere il nome di chi l’ha vinto. Per la classifica generale la penultima giornata equivale, a tutti gli effetti, a quella conclusiva.
Però non è raro che, nella storia della corsa rosa, la penultima fatica possa sconvolgere, e all’improvviso, gli assetti che si erano consolidati via via, nel dipanarsi delle tappe. Ė successo tante volte, poteva succedere anche oggi, nella Saint Vincent-Sestrière, ventesima frazione di centonovantanove chilometri. Meno lunga rispetto a quella di ieri, ma solo dal punto di vista del percorso: non certoda quello delle emozioni.
Ne sa qualcosa Alberto Contador, che, forse per la prima volta dall’inizio dell’ ItalGiro (e vorremmo dire della sua carriera, se non rischiassimo di esagerare), ha avuto davvero paura: paura di sprofondare, e di perdere, in un pugno di choilometri, tutto quello che aveva magistralmente costruito (e calcolato). Proprio lui, lo scalatore senza tema di vertigini a un certo punto si è trovato impanicato come sulle montagne russe colui che è senza cintura: per il Pistolero della Tinkoff-Saxo il codice rosso è scattato più precisamente sulle rampe del Colle delle Finestre, quando, a un certo momento, ha avuto un blocco, e si è visto scappare davanti a lui prima Mikel Landa e poi Ryder Hesjedal, con Fabo Aru.
Ciò che ha salvato Contador è stata, ancora una volta, la sua capacità di saper fare di conto: compresa immediatamente l’impossibilità di poter competere con quelli che erano i nuovi battistrada, non ha buttato energie cercando di andare all’arrembaggio (chiude, oltretutto, il suo giro in uno stato di forma decrescente), ma, uscito dall’impasse, è tornato senza indugio sulla ruota di Landa, che per sua fortuna era ancora raggiungibile, poiché sorpreso e travolto anch’egli dallo sprint fulminante del canadese della Garmin e del sardo dell’Astana.
Alla fine, dunque, i riflettori si sono accesi sull’inedita coppia Aru-Hesjedal: giunti sul traguardo nello stesso ordine con cui li abbiamo menzionati. Terzo Rigoberto Uran, il colombiano della Etixx risorto all’ultimo in un Giro che avrebbe dovuto vederlo protagonista. Peccato, appunto, che la corsa volga al termine. E peccato anche e soprattutto per Aru che, messosi alle spalle le giornate difficili, per poco, davvero per un fazzoletto di secondi, non rivoluzionava il verdetto finale. Si consola comunque con la maglia bianca, quella del leader della classifica giovani, e con una consacrazione meritatissima nel verde (e azzurro) Olimpo dell’italo pedale.
Ma che cos’è, in fondo, l’Olimpo? Se lo chiedete ad Aru, vi dirà che è una montagna (in effetti, anche l’Olimpo propriamente detto lo è), valdostana o piemontese, sulle cui rampe si trasforma in quel famoso “cavaliere dei quattro mori” (come è stato soprannominato), pronto a matare un nemico tanto minace quanto misterioso per lui, uomo di pianura. Se lo chiedete a Contador, invece, è la calma del dio dominatore, la calma olimpica appunto, che gli consente di controllare senza strafare. Eccolo, Aru, varcare per primo il traguardo del Sestrière, con il sorriso a trentadue denti e il dito, il petto, rivolti verso il cielo, verso una cima ancora più cima; ed eccolo, Contador, finire la sua corsa con oltre due minuti di ritardo dal folletto di San Gavino Monreale, e gioire in modo calibrato, ragionato, badando a rifinire il ritmo e la potenza della propria andatura; e senza guardare il cielo, che pure è rosa sopra di lui, perché suo è il Giro: e anche stavolta, come nel 2008, con nessuna vittoria di tappa in tasca. Ma, nel momento stesso in cui incamera l’ennesimo alloro, gIà gli sembra acqua passata.
Che altro ricorderemo di questo penultimo atto in rosa? L’ennesima, platonica esperienza avanguardista dei soliti fuggitivi, molti dei quali già premiati da un podio nel corso della rosea: parliamo di Zakarin della Katusha, Boem della Bardiani, Ulissi della Lampre. E poi, l’illusorio allungo di Zakarin, alla ricerca di chissà quali vagheggiati traguardi. Ma a risvegliarlo dalle sue chimere il prepotente ritorno di Landa e poi di Hesjedal, anticamera dell’epifania di fuoco di Fabio Aru.