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L’affaire Tavecchio

Il candidato forte alla presidenza della Federcalcio bruciato da una frase razzista?

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Venerdì 25 luglio 2014, Hilton Airport di Fiumicino: si sta svolgendo l’assemblea della Lega Nazionale Dilettanti. Carlo Tavecchio, suo presidente incontrastato dal 1999, prende la parola per presentare la propria candidatura alla guida della Figc. E’ colui che ha rottamato la denominazione di CND e ha ripristinato quella di serie D (anche se ormai, a conti fatti, non esistendo più la serie C, sarebbe bene procedere ad un nuovo aggiornamento di nome). Dirigente di esperienza, uomo dalle capacità organizzative riconosciute e apprezzate, diventa nel 2007 vicepresidente della Figc e, due anni, vice presidente vicario della stessa, e in tale ruolo, nell’estate del naufragio post-Brasile del football di casa nostra, si propone come il primo papabile a succedere a Giancarlo Abete. Dalla sua ha, com’è naturale, la LND, il suo regno, ma anche la serie B, la Lega Pro (cioè l’ex serie C) e ben diciotto dei venti club di serie A sono pronti a votare per lui (fuori dal coro Juventus e Roma, eccezioni “di grido” ma praticamente ininfluenti). In sostanza non gli manca niente per “schiacciare” Demetrio Albertini, il campione delle associazioni dei Calciatori e degli Allenatori: ma poi arriva quel venerdì fatale, e con esso i fulmini di un polverone del tutto inatteso: di un colpo, il candidato forte del sistema si trova ad avere contro l’80% dell’opinione pubblica, sportiva e non, che gli dà addosso per una banale, imbarazzante caduta su una boccia di banana: parlando, appunto,… di banane!

Tavecchio è favorevole all’introduzione di un tetto per l’ingaggio dei giocatori extracomunitari in Italia – non più di due, egli propone -, e per meglio chiarire il suo programma fa un’affermazione a metà tra il colloquiale e il censorio: “Non è una questione di accoglienza… è una questione di gioco. In Inghilterra devi dimostrare quanto vali per giocare, qui in Italia, invece, ti chiami Optì Pobà (che è come dire Pinco Pallino. è un nome inventato al momento, ndr), uno che magari prima mangiava le banane, e diventi subito titolare nella Lazio (anche qui menzione a puro titolo di esempio, ndr). Oltremanica, al contrario, ciò che conta sono il curriculum e la caratura”.         
Non l’avesse mai detto: il passaggio più caldo della sua dichiarazione, con quell’inciso così “colorito”, viene subito strumentalizzato dalla stampa, e diventa immediatamente materia su Internet per un’ondata di esercitazioni di perbenismo conformista. In poche ore Twitter si trasforma per Tavecchio in una Place de la Concorde dei tempi della Rivoluzione, e per sua sfortuna, anche l’opinione che conta, quella politica, va giù duro. “Giacobini” assoluti gli esponenti del Pd. “Rinunci”, dice la Serracchiani, “Fermatelo”, è l’appello della Melandri, “Faccia un passo indietro”, auspicano Bonaccini e di Bartolomei. Davide Faraone, il responsabile welfare del partito, dice che per frasi simili a quella del dirigente “sono state svuotate curve”, quindi non avrebbe “credibilità” come presidente Figc, mentre Francesco Nicodemo, responsabile della Comunicazione., osserva: “Se prima c’erano dubbi su Tavecchio, ora c’è la certezza che è inadeguato a rappresentare il calcio italiano”. “Non può fare il presidente di nulla”, conclude con lapidarietà da giustiziere Nicola Fratoianni di Sel.  All’interno del mondo del calcio è invece Damiano Tommasi, presidente dell’Aic, a incaricarsi di esprimere lo sconcerto per le parole del calciocrate di Ponte Lambro.          
A nulla è valso il tentativo di quest’ultimo di cercare parole riparatorie, sia sul piano personale (“La mia vita testimonia la mia avversione al razzismo”) che programmatico (“In Federcalcio ci sarà un’azione costante contro la discriminazione”).   
La bufera ha incrinato il fronte dei club di serie A schierati con lui: a Juventus e Roma si sono aggiunti, dalla parte dei dissidenti, anche Cesena, Fiorentina e Sampdoria, e comincia a scricchiolare anche la cadetteria, con  la sconfessione da parte del Brescia. Eppure, con tutto ciò, se si eccettua Tommasi, gli esponenti di primissimo piano del sistema pallonaro continuano a manifestargli piena solidarietà e appoggio (se siano di facciata solo i prossimi giorni potranno dirlo): Abodi, il presidente della serie B, dice che, sì, le sue parole sono state inopportune, ma non si può certo accusare un uomo di razzismo a causa di una frase; e Beretta, il presidente della serie A, ribadisce che la biografia dell’uomo è una garanzia di impegno anti-razzista. Dalla politica, poi, arriva l’endorsement a favore del candidato demonizzato da parte di Gasparri e Santanchè, e neppure nel giornalismo mancano voci amiche di Tavecchio: una per tutte quella di Carlo Nesti, che si chiede come sia possibile definire razzista un uomo che ha contribuito alla costruzione di due ospedali in Africa ed è padre adottivo di tre piccoli africani. Ma nelle ultime ore piomba la richiesta della Fifa di indagare sulle affermazioni del presidente della LND.

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