Il 18 luglio 1914 nasceva, nella frazione fiorentina di Ponte a Ema, Gino Bartali, destinato a diventare uno dei simboli del ciclismo in Italia e nel mondo. Bartali, fisico massiccio, veniva ritenuto poco adatto al ciclismo ma, forse proprio per questo, da toscano sanguigno quale è sempre stato, montò in sella ad una bici per poi non scendere più perchè, come amava spesso dire, “andare in bicicletta è la cosa più bella del mondo”.Diretto, senza peli sulla lingua e straordinariamente umano “Ginettaccio”, come veniva apostrofato da molti, ma anche “l'uomo di ferro” per la sua impressionante costanza nei percorsi peggiori, Bartali vide interrompere la sua fulgida carriera a causa del secondo conflitto mondiale. Mentre era stato incorporato nella Milizia stradale Gino Bartali venne coinvolto nella rete dell'organizzazione “Delasem”, che savò la vita a non meno di 800 ebrei italiani, salvi grazie ai documenti falsi che Bartali, con la scusa di allenarsi, portava nascosti nella sua bici da Roma ad Assisi, un'operazione che rischiosamente compì spesso a sprezzo della vita e che nel 2005 gli valse la medaglia d'oro al valore civile e nel 2011 l'inserimento del suo nome nell'elenco dei “Giusti dell'Olocausto”. Un altro episodio meno conosciuto vede il grande corridore protagonista per una sua foto, che salvò la vita a venti internati italiani nel campo di sterminio nazista di Dachau, grazie ad una millantata amicizia di un suo conterraneo e l'ammirazione di una guardia tedesca, che fece barattare la vita degli italiani in cambio dell'immagine posseduta da uno di loro. Nel corso della sua lunghissima carriera ha vinto qualsiasi trofeo ciclistico esistente, andando a diventare il ciclista italiano più conosciuto al mondo, grazie alle sue performances, di cui molte espresse dopo il 1945, quando a 31 anni era considerato “avviato al tramonto”. Gino Bartali, come era suo solito fare invece “tirò di lungo”, trionfando magistralmente ad esempio nel famoso Tour de France del 1948, quando venne “incitato” da Andreotti e De Gasperi ad una magistrale vittoria per distogliere l'attenzione pubblica italiana dal ferimento del leader del Pci Palmiro Togliatti, che aveva portato l'Italia sull'orlo della guerra civile. A dispetto dell'età e di tutte le difficoltà del dopoguerra “L'intramontabile” continuò la sua carriera di corridore continuando a coronare successi e un plauso “quasi” incontrastato (diviso con l'amico/nemico Coppi) fino al 1954, per continuare poi come team manager e ritirandosi in sordina a vivere in pensione con l'amata moglie Adriana e i suoi figli Andrea, Luigi e Bianca, non senza riapparire saltuariamente nella scena ciclistica come commentatore sportivo, spesso attaccando quelli che considerava i mali peggiori per lo sport: il doping e i premi di ingaggio esorbitanti, ma anche portare la sua voce roca e così diretta in mezzo alla gente, che non ha mai smesso di ammirarlo. Ad oggi rimane di lui un ricordo senza tempo, che ancora le generazioni si tramandano grazie alle iniziative culturali e sportive in suo onore e al ciclomuseo “Gino Bartali”.