La caduta di Chris Froome.
E lo diciamo in senso letterale. Casca, si rialza, è pronto a ripartire ma la sua bici sfortunatamente no: allora si mette a correre, come un disperato Fidippide in mezzo ad una pista resa strettissima, a pochi chilometri dal traguardo, da due ali di folla opprimenti, asfissianti, alla ricerca di un’altra bicicletta. Gliela ridanno (anche se non è della sua “taglia”), riparte, ma è troppo tardi: fosse stato per la dura e pura legge del traguardo, la maglia gialla questa sera non l’avrebbe più avuta il corridore Sky, ma il “delfino” della classifica generale, Adam Yates della Orica-BikeExchange.
Ma sarebbe stato troppo, troppo penalizzante per Froome e troppo mortificante per i reali valori della competizione: qualcuno, dalla stanza dei bottoni, avrà sentito odore di Tour-gate, e quindi avrà pensato bene di far convocare urgentemente la giuria, che senza colpo ferire ha ridato la maglia gialla all’anglo-keniota Sky. Se, sul campo, Yates era passato al primo posto con 9’’ di vantaggio su Mollema (olandese della Trek), in base al verdetto dei giurati Froome è ancora maglia gialla, e con 47’’ su Yates (ieri sera ne aveva 28'’).
Cos’era successo? A poco più di 400 metri dalla fine, un tratto del percorso che Prudhomme (il direttore del Tour) e i suoi avevano “concesso” al libero dispiegamento del pubblico dei ciclofili, diventa così al limite dell’impraticabilità da costituire, nei fatti, zona off limits per il passaggio dei ciclisti. E non ci sono solo loro: ci sono anche le macchine e le moto della carovana a complicare la gravità del quadro.
Così accade che una moto addetta alle riprese, bloccata dal traffico umano, tampona un accorrente Porte (Bmc), che cerca disperato di recuperare i suoi 2’ e passa sulla maglia gialla. Porte a sua volta tampona Mollema, e Mollema tampona Froome, la cui bicicletta è quella che esce più malconcia dall'episodio. Alla fine poi , chi prima chi dopo, ripartono tutti: ma, se non nel fisico, di certo “acciaccati” nella classifica reale. Per fortuna ci pensa la petitio veniae maxima delle autorità del Tour, che riconosce a Froome e a Porte lo stesso tempo di Mollema, il primo dei tre a riprendersi dal brutto e grottesco incidente e a chiudere addirittura alle spalle di Yates, come detto, nella graduatoria gialla provvisoria.
Ma quali sono state le premesse di questo finale-horror (per Froome, certo, ma per l’organizzazione del Tour in generale) della 12a fatica della Grande Boucle, la Montpellier-Mont Ventoux di 185 km, tosta e robusta tappa di salita? In effetti, per come si è svolta, la corsa meriterebbe di essere ricordata in modo totalmente diverso da quello in cui sarà invece – fatalmente – impressa nella memoria. Innanzitutto, infatti, diciamo (dobbiamo dire) che a vincerla è stato, come accade in pochi ma notevoli casi, uno dei corridori che hanno animato la testa della corsa sin dall’inizio, e cioè quello specialista di vittorie mediane che risponde al nome di Thomas De Gent, il belga della Lotto Soudal.
Per una volta, dunque, questi ha avuto anche la gioia di tagliare per primo il traguardo che più conta. La giornata era iniziata con la fuga di tredici uomini, oltre a De Gendt i due Lotto NL Lindeman e Vanmarcke e poi Clement (Iam), Pauwels e Teklehaimanot (Dimension Data); Greipel, compagno di De Gendt, Coquard e Chavanel (Direct Energie), Keisse (Etixx), Navarro e Lemoine (Cofidis) e Sorensen (Fortuneo). De Gendt anticipa tutti al primo gpm odierno, posto alla Cote de Gordes, e poi si ripete anche al Col de Trois Termes.
A 14 km dall’arrivo, Greipel il gorilla trova uno scatto d’orgoglio e si pone in testa alla corsa, ma non dura che tre chilometri. Viene risucchiato e superato dagli altri battistrada, che nel frattempo sono diventati 10, essendo usciti dai giochi Keisse e Coquard (e naturalmente escludiamo dal novero lo stesso Greipel); da tale decina emerge quindi un quartetto, composto da De Gendt, Lindeman, Pauwels e Navarro e destinato in pochi minuti ad evolversi in terzetto perché Lindeman a quel punto non ha davvero più birra.
Non mancano che 5 km al traguardo: senza più modifiche, la testa della corsa procede incontrastata fino alla fine, e nel derby belga tra De Gendt e Pauwels, la spunta il primo, che un domani potrà vantarsi (a giusta ragione) di aver vinto una tappa con tutti i suoi annessi e connessi intermedi, come capita a pochi campioni. E, ciliegina sulla torta, si riprende anche la maglia a pois.
Peccato, però, che dell’impresa di De Gendt se ne parlerà, forse, a mente, fredda, con la dovuta considerazione, fra qualche giorno o addirittura alla fine del Tour: in questo momento, com’è inevitabile, i riflettori sono tutti puntati sul salvataggio di Froome soprattutto su quello in corner dell’intera corsa gialla.