Promessa mantenuta.
Se la sentiva addosso la svolta, lo Squalo dell’Astana, e non voleva certo prendere in giro i suoi tifosi; semmai tornarci, nel cuore del Giro, da protagonista pieno, e proprio lì, alle latitudini che più contano della classifica generale.
Non un’impresa d’altri tempi: un’impresa di questi tempi, in cui nessuno dei giganti in vetta è esente da banali (e dolorosi) scivoloni e, in virtù della pura, semplice e implacabile sfortunaccia, è costretto a cedere il passo, e col il passo anche i galloni conquistati. Eh, sì, il mondo gira, e come gira al Giro! Nibali vince il primo round della due giorni regina di questa (quasi) fine corsa, la Pinerolo-Risoul di 162 km, e Steven Kruijswijk, proprio lui, l’olimpico tulipano rosa della Lotto NL, cade.
In tutti i sensi. Cade dal piedistallo più alto della graduatoria nobile (dove adesso occupa la terza posizione) e cade anche dalla bici, in un momento cruciale della tappa, quando ormai la fase preliminare, dominata da un gruppo compatto di 28 corridori al comando, stava andando a maturazione: subito dopo, cioè, il Gran Premio della Montagna del Colle dell’Agnello (Cima Coppi). Era successo anche a Nibali, lo abbiamo raccontato, di incepparsi a cavallo della sua bici, ma Kruijswijk lo fa con maggior dolore: si accascia sopra un soffice manto di neve (poteva incontrare di peggio, in effetti), accumulatasi lungo un muretto, poi stoicamente torna in sella, come un orgoglioso yeti dalla pelle polarissima chiazzata di sangue qua e là . Un mostro, però l’ombra del mostro del pedale che avevamo conosciuto fino a ieri.
Cade anche, pochi minuti dopo (e si fa male di più), Zakarin della Katusha, che rimedia, povero lui, una clavicola rotta. Era quinto in classifica generale fino a ieri, ora è scivolato sotto la decima posizione.
Non è stata una tappa per primedonne (escluso il ritrovato Nibali, beninteso): al contrario è stata una corsa per uomini duri, dai nomi paucisonanti, temprati dalla lunga frequentazione della seconda fila, gregari infaticabili e all’occorrenza, kamikaze da auto-macello, talmente abituati al pericolo estremo da scamparla qualche volta, per la legge dei grandi numeri, alle situazioni in cui troppo spesso sono chiamati a sacrificarsi, e ad essere anzi protagonisti assoluti. Non solo per sé (ci mancherebbe, si tratta comunque di gregari, e così piace a loro essere), ma anche per far ritrovare qualche campione perduto (e ogni riferimento allo Squalo è puramente non casuale).
Parliamo di Scarponi, Vincenzo (astaniano di ferro, e oggi anche astaniano d'alloro): uno che con un nome così, nel calcio, avrebbe avuto probabilmente un destino di scherno segnato. Non nel ciclismo, dove Scarponi sembra piuttosto essere un nome potente, come quello di un guerriero dall’indistruttibile calzatura, capace di far dei suoi pedali dei pedaloni.
Oh, quanto deve Nibali al suo gregario piè d’oro! Gli vince il Gran Premio della Cima Coppi (eh sì, lo vince per il suo capitano) e, sempre con Nibali nel cuore, se ne va in testa alla carovana, ingaggiando un breve duello con il belga Monfort della Lotto-Soudal. Che poi lascerà andare, proprio per aspettare il capitano e fargli da scudiero nel corpo a corpo con gli altri campioni che lo affiancano all’inseguimento, gente come Valverde (Movistar), Majka (Tinkoff) e Uran (Etixx-Quick Step).
E scortarlo in avanti, sempre più in avanti: così da condurlo ad altezza-Monfort e catapultandolo da solo in fuga, là dove solo colibrì Chaves (Orica-GreenEDGE) poteva, almeno timidamente, sperare di stare a ruota.
Ed eccolo, l’altro protagonista di piccolo nome della giornata, Esteban Chaves: il suo sbattere d’ali ora non è più così simile al ronzio di una mosca, anzi ha un fragore come un’elica che sbatte tumultuosa in cima ad un elicottero: è lui proprio lui il successore di Kruijswijk in maglia rosa. Dall’eleganza un po’ rigida dell’olandese alla simpatia istintiva del guerriero di sangue chibcha: se lo squalo messinese può bearsi del fatto di essere balzato dal quarto al secondo posto in classifica e infliggendo ben quattro minuti di ritardo sul traguardo all’ormai ex maglia rosa, il colibrì di Bogotà capitalizza al massimo la sua posizione di ex vicecapolista. Ha 1’ e 5’’ di vantaggio su Kruijswijk, ma solo 41’’ su Nibali: siamo lontanissimi dai distacchi dell’olandese che sembravano abissali, solo poche ore fa, ma che poi si sono sciolti con la neve, o sulla neve.
Tutti i giochi sono ancora aperti, quindi: preparate le fotocamere e le videocamere, staremo a vedere se il pescecane, con un balzo terrificante fuori dall’acqua, farà un boccone del brioso volatile, o se questo non gli sfuggirà per un soffio, o se, tra i due litiganti, un fiore col turbante non del tutto appassito rispunterà dalla neve più forte e orgoglioso di prima.