Cambio al vertice della classifica generale del Giro d’Italia.
Gianluca Brambilla (Etixx-Quick Step) sveste il rosa a favore del suo compagno di squadra Bob Jungels: un passaggio di consegne che, tutto sommato, era nell’aria, perché, come abbiamo detto, il corridore di Rollingen era secondo alle spalle di Brambilla, e con un solo secondo da recuperare. Il prode e generoso Gianluca da Bellano, però, non è tornato bruscamente ad essere “quel Brambilla lì” che nessuno conosce, o fa finta di non conoscere: al contrario avvertendo, da vero ciclista di razza, che il suo turno di gloria stava momentaneamente per chiudersi, si è messo al servizio dei suoi colori e ha fatto da prezioso gregario-regista per l’ascesa in graduatoria del suo collega.
Giro d’Italia a dimensione europea, e non solo perché, come ormai è tradizione, è iniziato in un altro punto del continente: ma perché, proprio come a Bruxelles c'è, a capo del governo Ue, un lussemburghese, di nome Juncker, anche all’ItalGiro ora c’è, in plancia di comando, un atleta venuta dal piccolo Stato nato come città-fortezza. Alle sue spalle Amador (Movistar), l’uomo che, nell’ultimo tratto della gara di oggi, la Campi Bisenzio-Sestola di 219 km (decima tappa, per il calendario), sembrava potesse essere il nuovo padrone della generale. Il costaricano, invece, alla fine ha chiuso a 26’’ da Jungels. Brambilla è precipitato al 6° posto, a 1’11’’ dal compagno di squadra, ed è subito alle spalle di Vincenzo Nibali (Astana), quinto con 52’’ di ritardo sulla maglia rosa.
Ma, per un italiano che, per il momento, scompare dalla vetta della classifica generale, ce n’è un altro che tiene alto l’orgoglio dell’italo pedale primeggiando nell’ordine di arrivo della frazione odierna. Parliamo di Giulio Ciccone, ventunenne (quasi ventiduenne) esplosivo della Bardiani. Non un falco da ultimo chilometro come Kittel e Greipel, ma un escapista all’antica, della buona, antica scuola italiana, quella che raccomanda prima di tutto di rispettare le intuizioni dei gregari iluminati: ed eccolo lì, allora, a poco più di 6 km dalla fine, a fare con Pirazzi suo compagno suo squadra, il cavaliere col cuore di cobra, e a farlo anche passare davanti, così da arginare la spinta propulsiva di Preidler della Giant-Alpecin; salvo poi, evaporata la minaccia, sorpassarlo con la sua benedizione, naturalmente, e chiudere definitivamente la partita.
Pirazzi e Ciccone erano tra i dieci uomini che, al km 60, erano riusciti ad aggregarsi ai tre fuggitivi protagonisti della prima parte della gara, Visconti della Movistar, Boem della Bardiani e Niemiec della Lampre-Merida. Parliamo di Cunego (Nippo-Vini Fantini), Preidler, Bonnafond (Ag2r), Brown (Cannondale), Atapuma (BMC), Silin (Katusha), Rovnyj (Tinkoff) e Zoidl (Trek). Da questa sporca sporca tredicina avrebbe poi cercato di emergere nuovamente Boem insieme a Preidler e Niemec, ma la fuga si è infranta sulle rampe del penultimo Gran Premio della Montagna, dopodiché sarebbe scattato il piano d’attacco di Ciccone. Vincente, come detto.
Ci correggiamo: non solo la vittoria di tappa è italiana. Italiana è anche (e nuovamente) la maglia azzurra, riconquistata da Cunego grazie alla vittoria nel gpm di Pian del Falco, il terzo (e penultimo, e più insidioso) della giornata (l’ultimo era proprio il traguado finale; gli altri quelli del Passo della Collina e di Pietracolora, entrambi vinti dal fuggitivo Visconti). A detenere la maglia rossa, invece, c’è sempre Greipel, e neppure la bianca cambia padrone: se la tiene (sotto la rosa) quell’ “ingoedo” di Jungels.
Intanto, il Giro dice addio ad un altro grande protagonista: Mikel Landa (Sky), fermato da una brutta forma di gastroenterite.