Dopo-Blatter: inizia l’anno 1.
Nel segno di Gianni Infantino, il segretario della Uefa che ieri, a Zurigo, è stato eletto nuovo presidente della Fifa.
Indirettamente Michel Platini, il Napoleone del calcio europeo attualmente confinato in una sorta di Sant’Elena disciplinare (squalificato per sei anni, come lo stesso Blatter), si è preso una mezza rivincita, dal momento che Infantino, in sostanza, è un suo uomo, e un interprete fedele della sua politica calcistica: dunque proprio il più platiniano dopo Platini l’ha spuntata, in modo netto, sul favorito (giusto un po’ ammaccato) della vigilia, Al Khalifa, sceicco del Bahrein e presidente della Confederazione asiatica di football.
Alla fine lo sceicco era stato capace di sopravvivere ai malumori addensatisi sopra il suo capo, in quanto rappresentante di un Paese che viola sistematicamente i diritti umani e inoltre al di fuori della grande tradizione storica del gioco del calcio. Ed era riuscito ad arrivare al voto in grado di giocarsela.
Ritiratosi sin dall’inizio dei giochi il candidato sudafricano Tokyo Sexwale, una sorta di Nelson Mandela del calcio che, forse, dentro un’altra rosa avrebbe avuto maggior fortuna, si è capito subito che la corsa per raccogliere il testimone del colonnello sarebbe stata limitata ai soli Infantino e Al Khalifa. Da tempo, infatti, era evaporato l’astro del principe giordano Ali bin al Hussein, dirigente Fifa dal 2011 e, con i suoi quarant’anni, il più giovane candidato in lizza; quanto a Jerome Campagne, altro dirigente Fifa, il suo nome non aveva mai veramente convinto: probabilmente entrambi hanno pagato il fatto di essere pezzi del vecchio establishment. Ma in generale ha pesato anche la preoccupazione che il baricentro del potere calcistico mondiale potesse spostarsi troppo verso Est.
In effetti la graduatoria stabilita dal primo turno della votazione, svoltosi intorno alle 15.00, rifletteva già quello che sarebbe stato l’esito finale: nel corso di esso Infantino (che era il secondo candidato più giovane dopo Hussein, essendo un classe ’70) aveva preso 88 voti, Al Khalifa 85, Alì bin Hussein 27 e Champagne 7. Secondo lo statuto Fifa, per essere eletti presidenti al primo turno occorre raggiungere o superare la quota di 138 suffragi sui 207 totali; , dunque, non essendo uscito dalle urne nessun vincitore, è stato necessario procedere, intorno alle 17.00, ad un secondo turno di voto, con una soglia di vittoria fissata sui 104 voti. Un’ora dopo si è avuta l’attesa fumata bianca: Infantino, infatti, chiudeva con 115 voti, ben ventisette in più di Al Khalifa, fermatosi a 88, mentre Hussein ne prendeva solo 4 e Champagne neppure uno.
Inizia dunque una nuova era per il calcio mondiale: e poco importa che Infantino provenga dallo stesso Paese di Blatter (è nato in Svizzera ma da genitori italiani), e che piuttosto blatteriana sa la visione "ecumenica" del suo Mondiale (sogna, com'è noto, un torneo iridato a 40 squadre).