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Scienze, addio ad Oliver Sacks

Celebre neurologo, era affetto da cancro al fegato

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Era diventato celebre con un saggio dal titolo vagamente gogoliano, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello (1985).

Poi era arrivato il cinema, che nel 1990 aveva ripescato un suo libro del 1973, Risvegli, e ne  aveva fatto un’acclamata pellicola con la premiata coppia Williams-De Niro. Ed, in tempi più recenti, era sbarcato nei palinsesti della Pbs, l’azienda americana di radio-telediffusione di  programmi educazionali, con un mini-documentario basato su Musicophilia,  altro suo celebrato lavoro. Della musicoterapia applicata alle patologie neurologiche, del resto, era uno dei massimi alfieri mondiali.

Se n’è andato a 82 anni, per un male incurabile che egli stesso aveva annunciato alcuni mesi fa, Oliver Sacks, considerato il Freud della neurologia. Ebreo come il professore viennese, però nato a Londra, da genitori entrambi medici, e newyorkese d’adozione. Nella Grande Mela, infatti, Sacks viveva e lavorava dal 1965. E proprio qui si è spento, nella mattinata di oggi. A dare l’annuncio l’edizione online del New York Times, che ha ricevuto la notizia direttamente dall’assistente dello scienziato.

Case di riposo per anziani, Albert Einstein College of Medicine, New York University School of Medicine, Columbia University e tanto tantissimo Beth Abraham Hospital nel Bronx: queste le tappe  lavorative di Sacks all’ombra della Statua della Libertà. E ha continuato la sua attività medica praticamente fino al’ultimo, all'Istituto di neuroscienze  e come consulente neurologico per l'istituto delle Piccole sorelle dei poveri, una congregazione religiosa. 

Delle patologie di frontiera, al confine tra vita e non-vita come nel caso dell’encefalite letargica, o tra comprensione visiva della realtà e percezione caotica dei suoi elementi, come in quella della prosopagnosia, Sacks aveva fatto la sua missione, forte anche della sua esperienza in prima persona come malato: egli stesso fu prosopagnosta, fece uso  di varie droghe durante tutta la vita per lenire i suoi dolori; negli ultimi anni, poi, perse la visione binoculare a causa di un tumore all’occhio destro. Una sorta di dottor House del cervello insomma, che nelle pagine da lui scritte non ha mancato di documentare tutti i travagli sofferti.

Da malato che cura i malati (spesso sperimentando anche su di sé le terapie che proponeva loro), poté dunque trovare nell’empatia la magistrale chiave di avvicinamento con i pazienti. Lui, però, preferiva di parlare di approccio “naturalistico”, con un punto di vista centrato sulla vicenda tutta interna all’umanità del malato, come dice chiaramente nella prefazione di   L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello:

<<Mi sento medico e naturalista al tempo stesso; mi interessano in pari misura le malattie e le persone; e forse sono anche insieme, benché in modo insoddisfacente, un teorico e un drammaturgo, sono attratto dall'aspetto romanzesco non meno che da quello scientifico, e li vedo continuamente entrambi nella condizione umana, non ultima in quella che è la condizione umana per eccellenza, la malattia: gli animali si ammalano, ma solo l'uomo cade radicalmente in preda alla malattia>>.
 

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