Il vaccino sviluppato contro l'Ebola in Italia è il primo rimedio efficace, dicono, a lungo termine (almeno 10 mesi). È stato creato e testato sulle scimmie e adesso ci si prepara a farlo sull'uomo. Intanto il fisico Alessandro Vespignani stima da 6 a 10 mila casi di contagio in Italia entro il mese.
A porre in essere il vaccino contro il virus Ebola, nei laboratori dell'Irbm Science Park a Pomezia, è stato un gruppo di ricercatori italiani e americani, tra cui Riccardo Cortese. Stiamo parlando della Okairos, una piccola azienda biotecnologica nata nel 2007 come derivato della Merck e di origine italiana. La sede principale si trova a Basilea, in Svizzera, mentre i laboratori sono dislocati nel sud Italia, a Napoli e vicino a Roma, Pomezia. L'esperimento è stato compiuto per la prima volta sui macachi usando un vaccino basato sul ChAd3, il quale è un adenovirus come quello dell'influenza, derivato dagli scimpanzé. Nel corpo dei primati, il vaccino è stato in grado di proteggerli dal ceppo Zaire del virus per almeno 10 mesi dalla somministrazione. Risultato che fino ad ora non era mai stato ottenuto.
A spiegare i dettagli della ricerca è stata la rivista scientifica “Nature medicine”.
Cortese, dopo aver lavorato sodo per molti anni in Germania, dove ha creato l'Unità di espressione genetica al laboratorio europeo di biologia molecolare di Heidelberg, ha affermato che l'idea ha avuto origine dalla consapevolezza che fosse necessario percorrere una via differente per trovare un rimedio a malattie come quella dell'Ebola. Così insieme ad altri studiosi, tra cui Alfredo Nicosia, chief scientific officer di Okairos, è iniziata la sfida. Solo in Svizzera sono riusciti a trovare gli investitori per finanziare l'intuizione e ci sono voluti 5 anni per porre in essere lo start up dei test negli U.S.A, in collaborazione con il Natural Institute of Health. D'altro canto i laboratori di Pomezia sono gli unici a poter produrre le dosi necessarie alla sperimentazione. La Gloxosmithkline sperimenterà nei prossimi giorni il vaccino sull'uomo. Intanto il fisico Alessandro Vespignani, coordinatore del gruppo di epidemiologia computazionale della fondazione Isi e professore in un' Università di Boston, ha paventato la preoccupazione che, nonostante gli sforzi fatti fino ad ora, le organizzazioni sanitari locali ed internazionali non saranno in grado di modificare la situazione attuale. È una probabilità contenuta quella che il virus arrivi in Europa e in Italia, il 5 max 10%, però non è da prendere sotto gamba. Secondo Vespignani la soluzione non è quella di limitare il traffico aereo o le vie di comunicazione in generale, poiché questo comporterebbe al contrario un danneggiamento ai mezzi sanitari e di soccorso. Ciò che può servire per il futuro è imparare da queste lezioni: per proteggere noi stessi è necessario proteggere gli altri ed aiutare i paesi più poveri e più esposti al contagio di tali malattie.