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Marte: quelle strutture aliene che affascinavano i terrestri

Nel XIX secolo la “prova” che forme di vita intelligenti abitassero il pianeta

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Abbiamo ancora negli occhi le immagini della navicella Crew Dragon, mentre si stacca da terra per immergersi nel blu intenso di un cielo sempre più scuro. Lo scorso 30 maggio è iniziata una nuova era dell'esplorazione spaziale, forse proprio quella che ci vedrà mettere piede su Marte. Sarà la nuova pagina di un lungo e complesso capitolo che vede il Pianeta Rosso al centro delle mire umane da molto più tempo di quanto si creda, e non mancano al riguardo storie talmente singolari da sembrare inventate. La ricognizione di Marte non ha affatto origini recenti, affonda infatti le sue radici nel XVII secolo, con i primi cannocchiali. È tuttavia nel XIX secolo che, per mezzo di perfezionati telescopi, le indagini a distanza del Pianeta Rosso portano alla realizzazione di vere mappe della sua superficie. Tanti sono i nomi che hanno contribuito alla ricerca ma su tutti spicca quello dell'astronomo Giovanni Schiaparelli. Dal suo osservatorio di Brera, Schiaparelli realizza le carte meglio dettagliate dell'epoca, fornendo particolari della geografia fisica di Marte con un grado di risoluzione elevatissimo. Se i cartografi precedenti distinguevano macchie bluastre e chiare come “mari” e “continenti”, Schiaparelli spezzetta ulteriormente i continenti rendendosi conto che i mari si insinuano all'interno di questi con profondissime insenature e, tra l'altro, alcune di queste sembrano collegate da strane strisce scure, che l'astronomo nel complesso definisce “canali”. Inoltre, questi canali più stretti sembrano sdoppiarsi (germinare) in due tracciati distinti da un giorno all'altro, per tornare in seguito allo stato iniziale come se nulla fosse cambiato. Schiaparelli, appoggiato da numerosi colleghi, ipotizza che i canali corrispondano a valli incise dalle acque, mentre le germinazioni testimonino eventi alluvionali improvvisi. Marte appare quindi, sebbene diverso dalla Terra, sottoposto a eventi geologici per nulla diversi da quelli che coinvolgono il nostro pianeta. Lo stesso astronomo dichiarerà: “Marte non è dunque un deserto di aride rocce. È un pianeta che vive”.

Carta geografica di Marte secondo Schiaparelli

 

Sebbene ci siano quindi “evidenze” di attività fisiche in atto sul pianeta, e per alcuni la già ovvia presenza di forme di vita come diretta conseguenza di queste, l'eco mediatico delle osservazioni di Schiaparelli cambia radicalmente con la traduzione inglese del suo studio. È bastato infatti interpretare la parola “canale” in canal piuttosto che channel, conferendo quindi alla struttura un implicito significato artificiale anziché naturale, come ad esempio il “canale della Manica”. Da qui inizia a circolare l'idea, tra gli addetti ai lavori, che tali strutture siano il prodotto dell'attività di forme di vita intelligenti. Questa particolare interpretazione sembra piacere oltreoceano, tanto da influenzare le ricerche di Percifal Lowell, uomo d'affari americano convertitosi all'astronomia. Lowell, nelle sue osservazioni, riesce a mappare molti più canali di quelli osservati da Schiaparelli e, soprattutto, li raffigura marcatamente rettilinei in confronto alle forme più naturali riportate dall'italiano. L'americano ritiene che Marte non abbia importanti fonti di acqua, se non quella intrappolata nei ghiacci polari. La fusione periodica di questi nelle regioni più periferiche è, probabilmente, l'unica risorsa disponibile per gli abitanti del pianeta. L'acqua di fusione viene allora convogliata nei canali e drenata verso le zone temperate, alimentando la vegetazione che cresce attorno ai fitti reticoli disegnati da questi miracoli di ingegneria. Secondo Lowell, la sua interpretazione fornisce anche l'unica spiegazione plausibile alla germinazione dei canali: improvvise e veloci irrigazioni controllate. Nonostante lo scetticismo di Schiaparelli e della maggior parte della comunità astronomica, l'americano continua a individuare canali (più di 400) arrivando a mappare queste strutture sull'intero pianeta. Lowell arriva a promuovere la spiegazione più popolare su uno dei temi più popolari dell'epoca, e al mondo piace. Si inizia allora a pensare a grandi segnali luminosi da installare nel mezzo del Sahara, o a enormi specchi che proiettino la luce solare sui deserti marziani nel tentativo di contattare “Loro”. Alcuni ritengono invece che una civiltà tanto avanzata possa essere un pericolo per i terrestri, un'idea che nel 1895 ispira Herbert Wells nella sua “Guerra dei Mondi”. L'unica, forte, voce a sostegno della posizione più concreta di Schiaparelli viene dall'Abruzzo, e in particolare dall'astronomo autodidatta Vincenzo Cerulli, che dal suo osservatorio su una collina del teramano (Colluriana) non solo smentisce Lowell ma anche lo stesso Schiaparelli, dimostrando in effetti che i “canali” non esistono. Sono in realtà un'illusione ottica, una sintesi operata dall'occhio di alcuni dettagli. I telescopi dell'epoca non permettono di osservare Marte meglio di quanto non vediamo la Luna ad occhio nudo, e in quelle condizioni particolarmente difficili l'occhio tende a sintetizzare in elementari figure geometriche (linee, triangoli, ecc) dettagli al limite della percezione che non riesce a cogliere isolatamente. Come nel Rasoio di Occam anche in questo caso, tra le varie ipotesi, quella più semplice ha portato alla risoluzione di un problema apparentemente enorme, ingigantito da una traduzione errata e da una mente suggestionata dal fascino dell'occulto. È d'altra parte il fascino di Marte, un pianeta dal passato misterioso che più lo si esplora e più restituisce domande anziché risposte.

            In molti si chiederanno, alla luce delle conoscenze attuali, cosa ci sia di vero nelle osservazioni di Schiaparelli. Sebbene sia stata smentita l'esistenza dei canali più piccoli, sono ampiamente note quelle insenature che l'astronomo ha osservato scavate all'interno delle “masse continentali”, veri e propri channels. Ad oggi sappiamo che la loro esistenza testimonia drastici cambiamenti avvenuti sul Pianeta Rosso. Sono profondi solchi che incidono la parte più antica della crosta marziana, gli altipiani dell'emisfero sud tempestati di crateri. Ai tempi di Schiaparelli si riteneva fossero la dimostrazione di abbondanti piogge riversate sul suolo ma oggi sappiamo essere il risultato di eventi, più o meno catastrofici, su terreni che nascondevano -e probabilmente nascondono- grandi masse di ghiaccio simili al permafrost siberiano. L'improvviso scioglimento di queste masse per mezzo di eruzioni vulcaniche, terremoti o impatti meteoritici, ha provocato violenti trabocchi d'acqua dai 10 ai 1000 milioni di metri cubi al secondo. La riscoperta di questi nuovi channels lascia pensare che in passato ci siano stati tutti gli ingredienti giusti per ospitare forme di vita sul pianeta, e nulla esclude che tracce di quella vita siano tuttora presenti, come batteri inglobati nelle immense masse di permafrost. Che si tratti di canals o channels, è ironico come le osservazioni di Schiaparelli abbiano comunque portato a riconoscere le evidenze di acqua sul Pianeta Rosso.

 


Attuale ricostruzione geologica e altimetrica della superficie marziana

 

 

            La Crew Dragon che pian piano si getta nel buio freddo dello spazio ha alle spalle secoli di passione, ricerca, storie fantastiche, incognite.  Con il lancio dello scorso 30 maggio ci apriamo all'era dell'esplorazione umana del Pianeta Rosso, e chissà che non porti con sé nuove domande, nuovi misteri o nuove storie ancora più affascinanti di quelle che fino ad oggi hanno caratterizzato il cugino più prossimo del pianeta Terra.   

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