Passare dagli attuali 10 casi di tubercolosi per 100 mila abitanti a meno di 10 per milione nel 2035 e a meno di un caso su un milione nel 2050. E' lo scopo del primo documento di consenso italiano sull'eliminazione della malattia preparato per XVII° congresso nazionale della Società Italiana di Pneumologia (SIP), che si svolgerà a Milano dal 5 a 7 ottobre. In Italia non esiste nessun pericolo immediato, tuttavia il nostro Paese è in prima linea nel progetto mondiale per l’eliminazione della tbc in virtù della sua posizione di prima frontiera nell’accoglienza a migranti provenienti da nazioni dove invece la malattia è molto diffusa.
L’obiettivo dunque è quello di creare una rete di sorveglianza capillare e coordinata. “Negli ultimi dieci anni – ha spiegato il presidente Sip Francesco Blasi - l’incidenza della Tbc in Italia è rimasta sostanzialmente stabile, con un graduale aumento della quota relativa a pazienti nati all’estero che ha compensato la progressiva riduzione dei casi italiani”. Blasi ha poi aggiunto che “non stiamo andando incontro a un più alto rischio di ammalarsi a causa dell’ondata migratoria”, ma certo “i migranti pongono una questione di sanità pubblica ineludibile, una domanda di salute cui è doveroso rispondere per tutelare i loro diritti e per proteggere tutta la popolazione".
Cosa fare dunque per arrivare al “rischio zero”? In Italia esistono già laboratori in grado di effettuare diagnosi all’avanguardia in brevissimo tempo. Il passo successivo sarà di renderli accessibili attraverso un network di centri collegati fra loro, parallelamente alla creazione di un “Piano nazionale” per l’introduzione di test molecolari rapidi: così da prendere le “impronte digitali” dei bacilli per tutti i pazienti individuati e conoscere in questo modo i ceppi che più si stanno diffondendo. Dal 2004 al 2014 in Italia il numero dei casi notificati di Tbc oscilla intorno ai 5000 ogni anno, oltre la metà dei quali in soggetti di nazionalità straniera.