Per combattere i danni causati dall'infarto, è stato messo a punto un particolare trattamento, basato sull'iniezione di microparticelle biodegradabili al paziente, entro 24 ore dall’attacco cardiaco. «E’ la prima terapia che va a colpire un fattore chiave responsabile dei danni cardiaci da infarto», ha dichiarato Daniel Getts della Northwestern University di Chicago, che delinea questo nuovo approccio, sull’ultimo numero di Science Traslational Medicine. «Non ci sono altri metodi all’orizzonte in grado di agire così. La nuova cura può potenzialmente trasformare il modo con cui si affrontano gli attacchi di cuore e le malattie cardiovascolari».
La sofferenza del muscolo cardiaco, che si manifesta dopo un infarto, è essenzialmente legata all’azione di cellule infiammatorie (soprattutto monociti), che convergono nell’area, in assenza di ossigeno. La reazione infiammatoria, però, può essere controllata dalle microparticelle che intercettano i monociti, li “sequestrano” e ne provocano la morte, impedendone, così, l'azione distruttiva. Le microparticelle sono costituite da acido poli lattico-co-glicolico e hanno una carica negativa sulla loro superficie, il che significa un’attrazione fatale per i monociti infiammatori caricati, invece, positivamente. Quando la cellula infiammatoria si lega alla particella, emette un segnale che annuncia la sua “resa” e viene così indirizzata alla milza dove verrà annientata, invece di far danni al muscolo cardiaco.
Le microparticelle, biocompatibili e biodegradabili, sono sostanze già approvate dall’Fda, l’ente americano di controllo dei farmaci e dei dispositivi medici. Adesso, la Northwestern University e l’University of Sydney hanno annunciato un accordo con una start up biotech per la produzione di queste microparticelle, che presenteranno all’Fda, per essere approvate. Le sperimentazioni cliniche per l’infarto, sono già previste nel giro di due anni.
Questa terapia, inoltre, appare efficace anche per il trattamento di altre patologie, come le malattie infiammatorie dell’intestino, la sclerosi multipla o la peritonite. «Il potenziale che ha questo approccio per il trattamento di alcune malattie infiammatorie è straordinario – ha commentato Judy Gugenheim della Northwestern University. - Nei modelli di patologia che abbiamo studiato, queste microparticelle sono riuscite ad arrestare il flusso di cellule infiammatorie nelle zone colpite dalla malattia, riducendo i danni nelle aree attaccate e garantendo la rigenerazione dei tessuti».