Giornata sulle montagne russe per il governo, ieri, al Senato.
Per la prima volta la maggioranza ha avuto dei cedimenti al momento di votare contro alcuni emendamenti alla riforma del Senato. L’ora x è stata al momento di respingere due proposte di modifica grilline all’articolo 12, proposte che prevedevano il voto segreto. Questi i numeri del primo: 130 i sì al respingimento, 143 i no (quelli della maggoranza) e 4 astenuti; non molto diversi quelli del secondo, 131 sì, 144 no e 4 non-voti: 17 voti di scarto, la forbice più pericolosamente bassa della maggioranza-monolite dei tempi di Renzi (bisogna tenere presente che a Palazzo Madama l’astensione vale un voto negativo).
Poi, il "miracolo" dell’accordo all’interno del Pd e la tabula rasa agli emendamenti provenienti dall’interno del partito all’articolo 21 (elezione del presidente della Repubblica) e all’articolo 39 (norma transitoria per l’entrata in vigore delle nuove regole elettive del Senato). Tutto il partito democratico, alla fine, si è trovato d’accordo sulla prospettiva che, al settimo scrutinio, il capo dello Stato potrà essere votato con un quorum pari ai tre quinti dei votanti. E quanto al varo del nuovo meccanismo elettivo, i dem voteranno compatti un successivo emendamento ad hoc che sarà presentato dall’esecutivo.
Le proposte di modifica ritirate dalla minoranza dem sono state quindi fatte proprie dal M5S. Sul pallottoliere l’accordo dentro il Pd dà i suoi frutti: la maggioranza è subito risalita a quota 161 voti. Che sono diventati 169 quando sotto i riflettori è finito l’articolo 27. Alla fine il governo è stato ben lieto di accettare un emendamento della minoranza sull’articolo 30, che modifica l’articolo 116 della Costituzione sui poteri alle regioni.
A rendere più spedite le procedure di voto è stata anche la decisione delle opposizioni di ritirare i propri emendamenti, dopo l’approvazione dell’articolo 12: nei fatti è stato un favore alla maggioranza, nelle intenzioni un modo per sconfessare la riforma, sottolineando come la sua struttura sia così inadeguata da non valere neanche la pena di discutere come migliorarla. In realtà, covava anche il progetto di inviare una lettera unitaria al presidente Mattarella, per denunciare il modo con cui le l'esame della Riforma sta procedendo in Parlamento.
Tuttavia il “tradimento” di Forza Italia che, inopinatamente, sull’articolo 17 ha votato all’unisono con la maggioranza, ha rotto il fronte e fatto naufragare il progetto. In effetti, però, già altri gruppi si erano “sfilati”, come ad esempio i fittiani (Conservatori e Riformisti).