Sono stati trecentosessantasette i no della Camera alla sfiducia nei confronti del ministro degli Interni, Angelino Alfano. e alla conseguente destituzione dello stesso. Nelle ore immediatamente precedenti il voto, tenutosi nella tarda serata di mercoledì 5 novembre, il capogruppo del Pd a Montecitorio, Speranza, aveva proclamato che la maggioranza avrebbe fatto quadrato a favore del titolare del Viminale: e così è stato. A fianco di Pd e Ncd si sono schierati anche i berlusconiani. Per Alfano sono trecentosessantasette voti (palesi) “che premiano le forze dell’ordine e tutti coloro che si sono opposti alla strumentalizzazione dei fatti oggetto del testo della mozione”. Contro il ministro si sono invece espressi centoventicinque deputati: in pratica la porzione di Camera costituita dai partiti latori della mozione, Sel e M5S, più la Lega Nord e Filippo Civati, esponente democratico ormai sempre più assestato su posizioni antirenziane.
A monte della proposta di impeachment ci sono gli scontri che, il 29 ottobre in piazza Indipendenza a Roma, nel corso d una manifestazione di protesta degli operai delle Acciaierie di Terni, hanno visto protagonisti questi ultimi e la polizia, e fatto registrare il ferimento di quattro persone. Ma è stata la successiva ricostruzione in Senato fatta dal ministro a proposito della dinamica degli eventi, ricostruzione poi sbugiardata in tv dalla trasmissione Gazebo, ad accelerare il processo per formalizzare una messa in stato d’accusa. A Palazzo Madama, il giorno dopo gli scontri, Alfano aveva dichiarato che la polizia si era trovata costretta a bloccare il corteo con la forza perché l’intenzione dei manifestanti era quella di dirigersi alla volta della stazione Termini per occuparla. La domenica successiva a questo intervento Diego Bianchi, meglio conosciuto come Zoro, sulla base di suoi materiali video aveva documentato come in realtà il corteo stesse procedendo su tutt’altra direzione, e soprattutto come le cariche della polizia fossero partite prima dell’effettivo verificarsi dei disordini, quasi come se fossero state ordinate per bloccare il passaggio dei manifestanti. Il ministro non ha mancato di fare riferimento a ciò, nel discorso che ha preceduto il voto decisivo per la sua sorte: “Ho visto e rivisto il filmato di Gazebo, e non mi pare che smentisca le mie parole. Era stato intimato l’alt, l’ordine non è stato ascoltato dal corteo ed è seguito lo scontro tra polizia e manifestanti. Nel momento in cui la tensione è salita al massimo, gli agenti erano in numero esiguo e la carica è stata ordinata in soccorso di quei pochi poliziotti che altrimenti non sarebbero riusciti a impedire che il corteo esondasse”. Alfano ha parlato inoltre di “spintonamenti” dei manifestanti contro i poliziotti che cercavano di contenere la folla.
Per la seconda volta dall’inizio del suo mandato agli Interni, Alfano viene graziato dal Parlamento: quella precedente, quando era giunto a un passo dalla sfiducia per l’affaire Shalabayeva (la moglie del dissidente kazako Abliazov che era stata fatta rimpatriare a forza), se la cavò con un “Non sapevo”. E non aveva l’appoggio dei renziani.