Il primo dato politico della direzione Pd che ha approvato la relazione del segretario Matteo Renzi in cui si chiedono in tempi brevissimi per convocare le assise del partito in fondo può essere riassunto in quelle parole rivolte dall’ex premier alla minoranza interna prima nella relazione introduttiva e poi nella replica finale agli interventi: “Non possiamo più prendere in giro la nostra gente, potete prendere in giro me ma non la nostra gente. Nel pieno rispetto dello statuto, con le stesse regole dell’altra volta si faccia il congresso”.
E in quelle frasi pronunciate da Renzi c’era riassunto un po’ tutto il senso delle forti tensioni e delle grandi lacerazioni che hanno attraversato il Partito Democratico nelle ultime settimane accompagnandolo fino all’appuntamento con quella che da tutti gli osservatori politici era stata considerata come una sorta di vera e propria resa dei conti. Resa dei conti che almeno per il momento non c’è stata, come non c’è stata nemmeno la tanto sbandierata scissione che avrebbe potuto avere conseguenze drammatiche per il maggiore schieramento del centrosinistra italiano. Il secondo dato politico è che con il congresso da organizzare resta sullo sfondo la data di un ipotetico voto anticipato che a questo punto potrebbe anche non interessare più di tanto a Renzi e ai suoi, tutti concentrati adesso sulla assemblea nazionale del 18 febbraio nella quale secondo i rumors più accreditati lo stesso Renzi potrebbe dimettersi chiedendo di aprire la stagione congressuale appunto con un segretario dimissionario e la reggenza del Pd affidata al presidente Orfini, sempre che naturalmente l’assemblea gli accetti le dimissioni, perché nel caso in cui venissero respinte potrebbe essere ancora lui a portare il partito verso il congresso.
L’ex premier starebbe pensando a tempi strettissimi per la raccolta nei circoli delle candidature che verranno poi scremate in vista della Convenzione nazionale, dove arriveranno solo i tre primi candidati con oltre il 5% dei voti, e per la celebrazione delle primarie: la prima entro marzo, le seconde entro aprile. La maggioranza che sostiene l’ex premier avrebbe già pronto anche un pacchetto “prendere o lasciare” ed è convintissima di avere tutti i numeri a disposizione nonostante in assemblea si voti a maggioranza semplice sui mille facenti parte dell’organismo. Niente voto a giugno, dunque, ma l’impressione invece che Renzi sia più forte e più combattivo che mai.