Le amministrative?
Quasi un fastidioso impaccio sulla strada dell’appuntamento che più interessa al governo, il referendum di ottobre. Poi, certo, la campagna elettorale dei candidati sindaci e consiglieri comunali, nelle varie città, va avanti secondo il copione consueto. Ma il premier Renzi ha già in testa il dopo: anzi, non riesce a pensare che a quello. Come se la battaglia per il rinnovo delle amministrazioni comunali, vada come vada, gli interessasse comunque in modo piuttosto relativo.
Sicché, è già tempo di referendum costituzionale. E non ci pensa solo Renzi, ma un po’ tutti i renziani (senza contare gli anti-renziani duri e puri, naturalmente). Ė di questi giorni la comparsa su Facebook di un contenuto da condividere, un’immagine-manifesto, con cui si veicola il messaggio che la vittoria del no al referendum comporterebbe il ritorno a casa del presidente del Consiglio e del resto del suo entourage (in primis la ministra Boschi), ma la vittoria del sì, al contrario, determinerebbe l’uscita di scena di una folta e composita costellazione di leader politici e parlamentari, che va da Berlusconi a Brunetta fino a Grillo. E la domanda implicita è, com'è ovvio: cittadini italiani, chi scegliete di mandare via?
Renzi, che i social network li frequenta e con grande padronanza e profitto, sembra cogliere la palla al balzo: e rilancia il medesimo concetto a Milano, parlando ai 100 migliori studenti universitari d’Italia protagonisti di The Future Makers, un’iniziativa di orientamento nel mondo del lavoro promossa dal Boston Consulting Group Italia. “Se vinco io", ha detto il capo del governo, "uno su tre va a casa. Quindi trovo normale che tutti mi facciano campagna contro”.
Ma se nel futuro dovesse esserci una sonora bocciatura al referendum? “Davanti a me non ho anni e anni al potere”, replica il premier e segretario Pd. Lui, in effetti, la sua personale road map che lo porterà a liberarsi dagli affari di Stato e di governo l'ha già tracciata. “Febbraio 2023. Io immagino a 48 anni di essere un libero cittadino, che chiude con la politica, non che cambia poltrona”. Per cambiare l’Italia, dunque, gli restano sette anni di tempo: la durata di una nuova legislatura più il prossimo anno e mezzo. A meno che non si vada a votare anticipatamente, e non è escluso che proprio la vittoria del no al referendum possa aprire le porte a questo scenario…