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007 Spectre, al cinema il 24° Bond

Quarto film della saga per Daniel Craig

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James Bond, si sa, è sempre stato adrenalinico.

Ma da quando lo fa Daniel Craig, se possibile, è diventato ancora più adrenalinico. Abbiamo contato i momenti di quiete nel corso dell’intero ultimo film della serie, 007 Spectre, il 24°: i momenti, cioè, dove non ci sono scazzottamenti acrobatici, inseguimenti vertiginosi e senza fiato e situazioni maximum risk di varia natura. Arrivano a stento al quarto d’ora, inclusa la (non intensissima) scena di sintonia erotica con la Bond girl di turno, la bella Madeleine Swann (Léa Seydoux).

Ma tant’è, con Craig, sin dai tempi di Casino Royale, si va sempre di fretta, di frettissima, dritti alla meta in un vorticoso turbinio di scenari (da Roma all’Austria innevata a Tangeri al deserto sahariano, passando e ripassando per la Gran Madre Londra, naturalmente), eppure si può ben dire che sia stato proprio il quarantasettenne attore inglese, ultimo anello di una scintillante catena di volti carismatici ed affascinanti (magari anche più carismatici e affascinanti di lui, dipende dai gusti), il primo ad imprimere una svolta vera al personaggio di 007: non che i suoi predecessori non sapessero menare (tutt’altro) e non fossero ugualmente invulnerabili, ma il Bond di Craig ha di sicuro meno flemma ed eleganza rispetto a Connery e Moore, anzi forse non ne ha per niente, meno sofisticata virilità alla Pierce Brosnan, e molta più atletica ruvidezza, muscolare glacialità. In definitiva sembra un giustiziere inesorabile  guidato da un istinto innato, quasi basico, per il bene comune: ma per perseguirlo e realizzarlo, sa anche essere più feroce di sempre?

“Non potrei mai essere come Bond nella vita perché io non sono un assassino”, ha confessato Craig in Italia alla presentazione del film. Ma la domanda è: se fosse stato proprio lui, a renderlo tale? La visione di Bond come killer attraversa tutto il film, e comunque non turba l’animo dell’interessato se non marginalmente; ma è un fatto che un dibattito del genere “interno” al film ( e crediamo, a questo punto, anche esterno, esteso al pubblico dei suoi fans) era sempre stato fuori discussione fino ad oggi. Sarà che, da quando lo ha preso in consegna Craig, 007 è diventato quasi una sorta di  eroe rinnegato, un “eretico” della lotta spionistica perennemente alle prese con una volontà di rottamazione anagrafica :il concetto aveva fatto capolino in Skyfall e torna a materializzarsi ora nelle fattezze dello stesso “marchingegnere” di allora, il trentacinquenne Q interpretato da Ben Whishaw) Ma deve vedersela anche con scenari di vera e propria rottamazione professionale: è nell’aria una maxifusione tra l’agenzia "tradizionalista" per cui lavora Bond, la Mi6 guidata da Gareth Malory, nome in codice  M, e quella innovazionista di Max Debingh, nome in codice C, a cui prestano il volto rispettivamente Joseph Fiennes e Andrew Scott; e questo dovrebbe portare alla progressiva eliminazione del programma doppio zero. Quindi il nostro eroe ha imparato ad essere ancora più spietatamente implacabile e  “a non fidarsi di nessuno” (la frase tematica del film, pronunciata da  Moneypenny, la segretaria dell’Mi6 amica di Bond, interpretata da Naomie Harris).

Sta di fatto, però, che nell’ultimo capitolo della sua saga Bond deve lottare sia contro questa “falsa immagine” che contro i nemici veri e propri, quelli della ben nota Spectre, multinazionale criminale dai molti tentacoli che pianifica attentati esplosivi ai quattro angoli del globo (il suo simbolo è una piovra). 007 riesce a sventare il primo della serie, a Città del Messico, emblematicamente nel giorno dei morti, ma viene subito dopo sospeso dal servizio perché l’operazione che ha portato a termine non era stata autorizzata: in realtà egli ha agito, e continuerà ad agire fino a sgominare del tutto l’organizzazione, per conto del defunto boss della sua agenzia, il vecchio M (Judi Dench, che compare in un video-cameo), che gli aveva affidato quest'ultimo incarico quasi come un lascito privato. Porterà a termine quest’operazione, anche contro la sua stessa agenzia (almeno sulle prime) con le sue solite doti, fisiche e caratteriali, ma anche disseminando il suo percorso di rassicurazioni e assicurazioni morali, fatte per convincere prima di tutto se stesso… che alla fine, non è soltanto un brutale assassino. “Hai la mia parola”, dice a un vecchio nemico, Mr. White (Jesper Christensen),  agente di un’organizzazione concorrente della Spectre, la Quantum, che è angosciato per la sorte dell’amata figlia, la Madeleine già citata, e che  ormai ha poche ore da vedere, essendo stato avvelenato tramite contatto da tallio proprio da alcuni emissari della Spectre. Mettendo la propria pistola al centro del tavolo da scacchi dell’uomo, Bond gli promette solennemente che non solo non è venuto a cercarlo, tra le innevate montagne dell’Austria, per ucciderlo,  ma anche che offrirà la sua protezione alla figlia. E, naturalmente, “Fidati di me” è il suo esordio con la bella Madeleine, che all’inizio non vuole saperne di dargli credito, ma finirà, ben presto, per essere conquistata da lui.

Ella, naturalmente, vuole andare a fondo  riguardo a chi può aver voluto la morte del padre, e, facendo coppia con Bond, scoprirà non solo che il leader assoluto della Spectre, il n. 1, mr. Blofeld, in realtà altri non è che è il fratellastro dimenticato di Bond (Franz Oberhauser, questo il suo vero nome, interpretato da Christoph Waltz), ma anche che la Spectre, da vero mostro tentacolare, sta tentando di mettere le mani sui gangli vitali della sicurezza internazionale attuando, proprio grazie all’agenzia-cavallo di Troia guidata da C, quella fusione che avrebbe dovuto riguardare prima i servizi segreti britannici e poi quelli del resto del mondo. Alla fine di tutto Bond si trova, pistola in mano, a dover – a poter – infliggere il colpo di grazia a Franz, il proto-nemico che lavorava da sempre alla sua rovina ma di cui l’agente non ricordava l’esistenza se non in sfocate reminiscenze infantili.

Per fare la scelta giusta, però, a 007 sarà sufficiente ricordare che, nonostante tutto, non è quel crudele e inumano assassino che tutti pensano. Come giustamente osserva M, la differenza tra una spia drone programmata per uccidere e una spia umana con licenza di uccidere è che la spia umana può, appunto, decidere, al momento opportuno, se usare quella licenza o no.

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