In scena con lo spettacolo teatrale Amadeus, dove veste i panni del compositore Salieri, Tullio Solenghi è un attore a tutto tondo. Dalla gavetta i suoi sono sempre stati ruoli significativi. Sceglie con passione e con cura i ruoli da interpretare, perché per lui la qualità è un elemento fondamentale. Rifiuta le frequentazioni del jet set, per non rubare tempo alla vita privata. Una carriera brillante, quella di Solenghi, ogni ruolo da lui interpretato si è dimostrato un vero successo. In coppia col trio, sono riusciti a trasformare in un vero cult, la parodia de “ I Promessi Sposi”. Quando si parla di lavoro, Tullio vuole il massimo, e questo lo porta a ricercare la perfezione, senza lasciare nulla di approssimativo, ecco perché una componente che non deve mancare per andare d’accordo con lui dal punto di vista lavorativo, è sicuramente la professionalità e la serietà verso gli impegni presi. Chiacchierando con Tullio Solenghi ciò che emerge al di la della sua grande preparazione artistica, è sicuramente, la sua cordialità.
Attore, doppiatore, conduttore televisivo, imitatore, in quale ruolo ti senti più a tuo agio?
Di sicuro quello dell’attore teatrale. È il ruolo che mi scelsi quando decisi di fare questo mestiere, frequentando tra l’altro una scuola di teatro, e militando per sette anni di seguito al teatro Stabile di Genova, quindi avendo anche proprio un’impronta teatrale, poi ho fatto tutto il resto, ma il mio DNA, è quello di attore teatrale.
Hai frequentato la Scuola del teatro Stabile di Genova, che ricordo hai di quel periodo?
I ricordi sono sempre un po’ ammantati di un romanticismo positivo, ci saranno stati di sicuro anche dei momenti difficili e negativi, però sostanzialmente era il mio primo affaccio al teatro, e quindi la parte positiva annulla di sicuro la componente negativa. Apprendere il mestiere soprattutto dai grandi di allora che recitavano in teatro con ruoli di primi attori, fu una cosa magica e meravigliosa.
Fu proprio nella scuola che hai conosciuto Massimo Lopez?
Sì, per una sorta di strane coincidenze, dopo sette anni di teatro stabile, decisi di sperimentarmi da solo nel cabaret e lasciai lo spettacolo che stavo facendo con una sostituzione, e chi mi sostituì fu un giovanissimo Massimo Lopez che si affacciava per la prima volta al mondo del teatro.
Voi siete stati tra i primi artisti ad avere ruoli intercambiabili, riuscendo tra l’altro a trasformare il cabaret in un teatro?
Si diciamo che tra di noi non c’è mai stato un leader o una spalla. Ci siamo sempre scambiati i ruoli di volta in volta. C’era qualcuno che faceva la parte di comprimario, e l’altro il protagonista o la protagonista nel caso di Anna Marchesini, e viceversa. Siamo sempre stati definiti una sorta di mini compagnia teatrale proprio per la intercambiabilità dei ruoli.
Il debutto del trio Solenghi Marchesini e Lopez, è stato in radio. Per te ci potrebbe essere un ritorno di fiamma per la radio?
Ho il privilegio di poter scegliere solo le cose che mi interessano e mi appassionano, quindi un progetto radiofonico in cui ci siano queste componenti, e se ve ne fosse l’occasione, allora sicuramente ritornerei volentieri.
Tra le varie cose che hai fatto, hai anche un passato da scrittore, infatti, hai scritto un libro?
Sì ma non mi considero scrittore. Mi è piaciuto pensare sulla carta dei ricordi, soprattutto i ricordi degli stati d’animi, delle emozioni, perché non c’è nessun filmino nessun file o dvd che te li riporta alla memoria. Mi è piaciuto fissare dei ricordi dell’esperienza del trio che sicuramente è stata una cosa centrale della mia vita artistica.
Hai condotto anche Striscia la notizia?
Sì per tre edizioni, due con Gene Gnocchi, e una con Massimo Lopez.
Bella esperienza?
Sì, anche se poi la creatività dei conduttori è in minima percentuale, perché chiaramente il format è già costruito tu, vai solo a recitarlo e a leggerlo.
Però a Striscia la notizia ti sei ritagliato un tuo spazio?
Soprattutto con Gene Gnocchi il primo anno, ci tagliammo un piccolo spazio con una mini striscia che era la parodia che si chiamava Striscia la Berisha. Era la parodia di una striscia la notizia ipotizzata come se fosse stata fatta in Albania, che allora era la terra da dove arrivavano tutti gli sbarchi.
Quanti e quali sacrifici hai dovuto fare per arrivare dove sei arrivato?
Di sicuro quello più gravoso è stato dovere rinunciare alla famiglia, e quindi di dover dedicare tempo alla famiglia, non perché fosse gravoso dedicare loro il tempo, ma il riuscire a dividermi tra la famiglia e il trio, e la mia professione. Ho sempre privilegiato la vita privata, quindi mia moglie e le mie figlie, e ho fatto di tutto, per non togliere questo ruolo di privilegio al mio privato.
Ti abbiamo visto al cinema nel ruolo del rigorosissimo cardinale Rosselli in “Che bella giornata” con Checco Zalone, per te è stato un altro successo?
Il successo non è dovuto certamente al mio cardinale ma principalmente a Checco Zalone. Sia lui che il regista Gennaro Nunziante sono due persone molto serie e professionali. Spesso si commette l’errore di pensare che quelli che fanno cabaret fanno un lavoro così per ridere, approssimativo, e invece no, dietro a entrambi c’è sempre stata, e c’è, una preparazione quasi scientifica, nella costruzione del film, nella scelta poi delle immagini, nel montaggio. Tutto questo professionismo, è una cosa che mi ha fatto una bellissima impressione, perché poi è sempre stato il tipo di approccio che abbiamo avuto col trio, che è quello di non lasciare nulla di approssimativo, essere quasi scientifici su tutto.
Hai interpretato su Canale 5 il sindaco progressista Belgrano nella fiction Furore, il tuo personaggio è diverso dai soliti che siamo abituati a vedere?
Sì diciamo che è un personaggio serio, anche se voglio precisare che l’immagine che la gente conosce di me, è quella di un attore comico, però i primi sette anni di militanza al teatro stabile di Genova, i miei erano personaggi da attore drammatico, quindi è stato un ritornare alle origini.
La critica meno costruttiva che hai ricevuto?
Quando iniziammo col trio, ed eravamo ancora non dico sconosciuti, però di sicuro non eravamo quello che poi saremmo diventati, ci furono un sacco di critiche negative, soprattutto nella nostra prima apparizione teatrale, lo spettacolo “Allacciare le cinture di sicurezza” e un po’ le ho tenute, sembrava una sorta di congiure contro do noi. Sembravano a un certo punto infastiditi dal successo clamoroso che avevamo, eravamo un fenomeno. A distanza di anni, vorrei rivedere questi signori, e siccome adesso tutti parlano del cult “I promessi sposi”, vorrei andare a riprenderli, e dire “scusate, ma non eravamo squallidi, non eravamo dei cabarettisti, con delle idee banali, come mai siamo diventati un cult?”
Il complimento che ti ha fatto piacere ricevere?
Sono tanti, anche l’ultimo che ti fanno quando ti incontrano per strada e ti dicono ci mancate tanto, perché la comicità come la facevate voi non l’ha più fatta nessuno, era una sorta di comicità intelligente.
Attualmente hai portato Amadeus in teatro, dove interpreti il ruolo del compositore Salieri, ci dici qualcosa di questo dramma e del tuo personaggio?
È un personaggio che mi ha sempre affascinato, diciamo Amadeus mi ha sempre affascinato, è la storia di un perdente, di un non eroe, di un mediocre. Quando si è sempre abituati a fare personaggi positivi, eroi, il negativo, la parte che poi è in ognuno di noi, dark side of the moon, il lato oscuro della luna. E quella che affascina perché magari l’hai frequentata poco, e quindi fare questo personaggio mi ha attratto soprattutto per questo.
Quando si spengono le luci dei riflettori come sei?
Una persona assolutamente normale, io non ho mai avuto le frequentazioni dell’attore o del personaggio, ho sempre rifiutato inviti di mondanità, dove potevi incontrare chissà chi. Sto a casa con mia moglie, con le mie figlie adesso ho anche un nipotino, quindi sto ancora di più a casa, faccio la spesa al supermercato, aiuto mia moglie a lavare i piatti, una vita assolutamente normale.
Quanto è importante l’umiltà nel tuo lavoro?
È fondamentale perché questo è un lavoro che non dura sempre, è un lavoro che da un momento all’altro, puoi passare da avere un ruolo e una posizione di grande privilegio, ad essere dimenticato, quindi l’umiltà aiuta a sopportare i momenti negativi, senza farli diventare delle nevrosi.
Cosa non sopporti delle persone?
La mancanza di serietà e di sincerità, quando una persona non è sincera, quando sento che mi avvicina per altri motivi che non sono quelli della vera amicizia mi da molto fastidio.
Nello spot della Lavazza interpreti San Pietro, cosa ci racconti?
Per me è stato un affettuoso ritorno. Questo spot l’ho tenuto a battesimo, facevo il beato della situazione e San Pietro lo faceva Riccardo Garrone. La Lavazza ha iniziato questa campagna con me e veniva da un periodo glorioso che era quella di Manfredi ed era un po’ una scommessa perché l’idea era rivoluzionaria di questo beato che in paradiso si provigiona del caffè. Ha avuto un successo clamoroso, per alcuni anni è stato lo spot più votato nel gradimento del pubblico, anche perché era uno dei primi spot seriali, quindi con ogni volta una storia diversa e ritornarci dopo tanti anni nella parte di San Pietro è una cosa che mi ha fatto enormemente piacere al di la del fatto professionale, di rimbalzare di nuovo con una popolarità ancora più conclamata, poi ho ritrovato i registi che conoscevo, e stato un ritorno a casa da amici.
Come è stato lavorare con Brignano?
È stata una bella intesa, lui lo trovo molto professionale, cosa che mi fa subito andare d’accordo con le persone, poi anche umanamente ci siamo subito stati simpatici, e credo che questo traspare anche in video.
Che musica prediligi?
Tutta la musica barocca, Vivaldi, Back che è un po’ prima della musica barocca, Mozart sono i tre nomi che più mi appassionano.
Attuali progetti?
Sono in tournée in tutta Italia, prima con Amadeus e poi con il Tartufo di Molière.
Vuoi dare il Link in cui si possono vedere le date dei tuoi spettacoli?
www.tulliosolenghi.com
Un consiglio a chi vuole intraprendere questo lavoro?
Di intraprenderlo con le carte in regole, cioè di verificare il proprio talento, che per me è una cosa fondamentale, è un mestiere che non si può fare se non si ha talento, perché rischia di diventare un mestiere complicato, e poi armarsi di pazienza forza di volontà e tenacia.
Una carriera brillante quella di Tullio Solenghi, infatti, è sempre stata all’insegna del grande talento.