Free-Hands, un trio unito da una grande amicizia e passione per la musica, un progetto che trova ispirazione nella semplicità e nell'interazione sonora. I Free-Hands, Marco Silvi, Alessandro D'Anna, Stefano Battaglia, tre giovani talenti che si mettono costantemente in gioco confrontando stili diversi. Michela Zanarella incontra Marco Silvi per un'intervista.
D- Originalità ed interazione sonora alla base del vostro gruppo, ripercorriamo le tappe dalla vostra formazione ad oggi, perchè Free-Hands?
R- Tutto è nato durante la stesura della mia tesi per il corso triennale di pianoforte jazz. "Free Jazz: l'Originale Ritorno alle Origini", ecco il titolo. Volevo indagare a fondo sul fenomeno del Free Jazz negli anni '60 e di quanto esso fosse strettamente connesso con gli elementi musicali - soprattutto vocali e fabulatori - delle origini africane. Approfondendo questo modo di pensare la musica improvvisata, apparentemente così complessa, caotica e a tratti incomprensibile, ho scoperto quanto in realtà il fenomeno del Free Jazz attinga alle caratteristiche più spontanee, interattive e corporali dell'essere umano: la voce, il ritmo, il flusso dei pensieri musicali come se si stesse raccontando una storia, e il fenomeno del dialogo sonoro interattivo e di call-and-response tra le varie parti. Ecco che, per eseguire la "free-suite" che avevo scritto per la discussione della tesi, avevo bisogno di musicisti creativi, aperti e interattivi. Avevo bisogno dell'energia ritmica di Alessandro e delle idee timbriche sperimentali di Stefano. Ci siamo incontrati, abbiamo suonato, ci siamo divertiti e, dopo la mia laurea, abbiamo deciso di proseguire il progetto insieme, lavorando anche su brani più strutturati, originali o ripresi dalle tradizioni popolari più varie e inaspettate. La nostra ricerca è quella di provare a far scaturire da idee musicali semplici un suono nostro personale, che porti con sè quell'intensità sonora che lascia il segno. E' un lavorone questo, sono sincero, siamo solo all'inizio. Ma credo che oggi il voler ambire a fare buona musica significhi cominciare ad esplorare il suono in profondità, calarcisi dentro sfruttando i mezzi e le idee che già si hanno a disposizione. "Una montagna" oserei direi. Un po' come è accaduto negli anni Sessanta con il Free-Jazz, una originale riproposizione di materiale delle "Origini"; viva il gioco di parole....! Credo che lasciarsi persuadere da mille strade e da mille complessità cerebrali (è frequente imbattersi nella convinzione che "più una cosa è bella, più debba essere tassativamente complessa"...) e camminare in una dimensione musicale labirintica e dispersiva non possa creare le condizioni per lavorare collettivamente sulla sonorità e sull'improvvisazione, figuriamoci sulla ricerca dell'originalità e, se vogliamo, di noi stessi. "Free-Hands" rispecchia il nostro profondo anelito di libertà e di amicizia, tutte caratteristiche che reputiamo alla base di una feconda ricerca musicale.
D-Fondamentale in un gruppo l'intesa e il costante confronto, cos'è per voi l'amicizia?
R-Confronto, intesa, condivisione, conflitti, chiarimenti. Sono tutti aspetti che personalmente vedo poco nel mondo di noi giovani del jazz italiano. Si è facilmente attratti dal provare pochissimo e dalle serate facili alla luce del "tanto sappiamo improvvisare". Questo "essere scollati" tra i musicisti, ognuno al sicuro nel proprio giardinetto privato, genera superficialità nella musica che si suona. Penso che per raggiungere quell'Intensità che citavo prima, per me punto cardine di ogni cosa, musicale e non, si debba entrare in profonda comunione con le persone con cui si suona, con lo strumento che si imbraccia, con il repertorio che si affronta e con il pubblico che viene a sentirti. Non ci si deve improvvisare, bisogna improvvisare. E l'improvvisazione, soprattutto se in collettività, richiede una solidità umana forte. E quella del nostro trio è in felice crescita...!
D-Marco Silvi, hai studiato e collaborato con grandi artisti del Jazz internazionale. Quanto ha influito la lezione di Charlie Parker nel Jazz mondiale secondo te?
R- Parker ha mostrato una via che, al suo tempo, nessuno riusciva a vedere con la chiarezza che lui ha dimostrato di avere. Bisognava riportare il jazz, largamente contraffatto dalla classe "bianca", a qualcosa di profondamente "nero", afroamericano. Il jazz, che deriva dalla voce e dal corpo degli africani deportati, è una di quelle pochissime cose distintive "nere" che i coloni europei non sono riusciti ad appropriarsi. Il bebop, il linguaggio codificato da Parker e non solo, si ripropone come il "Gergo della Comunità Nera", quel dialetto che crea l'effetto "ghetto", la distinzione tra oppressi e oppressori. In quel momento il jazz comincia ad uscire dalla dimensione del ballo e si avvia verso una strada propria, di sperimentazione continua, spesso distante dalle ottiche commerciali di cui, fino a quel momento, era spesso stato soggetto. Sicuramente "Bird" ha dato il "la" all'esplorazione di nuovi universi sonori.
D-Come è nato il brano "Madama Butterfly" e qual è il punto di forza del pezzo?
R- Madama è una mia variazione melodico-armonica del celebre standard di Tadd Dameron, Lady Bird. Tornavo da una incredibile lezione concerto fatta con bambini dai tre ai sei anni in cui, insieme ad una mia amica cantante, siamo riusciti a a far improvvisare con la voce i pargoli su un giro di blues. Esperienza pazzesca, i bambini erano in delirio, tantissimo entusiasmo, noi due soddisfattissimi. Il pomeriggio stesso ero talmente emozionato che mi sono messo a giocare al pianoforte sul tema di Lady Bird, che trovo breve, semplice e potente, e il risultato è Madama Butterfly. Il titolo non ha nulla a che vedere con l'opera di Puccini, ho semplicemente pensato all'idea di una donna volante, Lady Bird, proiettata in una metamorfosi che si avvicinasse a quella di una farfalla. E i bambini che c'entrano, dirai? Hanno un'Energia Vitale che dai tredici-quattordici anni si dimentica, ma che si continua a portare dentro, nonostante tutti i grigiori della vita. Se si riesce a riscoprire quel lato di noi, si riesce anche ad affrontare una Metamorfosi Esistenziale, secondo me. In Madama Butterfly ho tentato di raccontare in musica proprio questo.
D-Una tua considerazione sul Jazz moderno e la sua diffusione tra i giovani.
R- Il jazz moderno è variegatissimo. Avere il tempo di ascoltarsi con calma tutto, sarebbe un miracolo. Purtroppo mi accontento di pillole. La diffusione tra i giovani della musica in generale è incredibile; internet è un canale inesauribile e facilmente accessibile a tutti. Certo, il jazz non è di facile fruizione per il grande pubblico, soprattutto se sono progetti sperimentali e formalmente complessi allo stesso tempo. Ecco, se c'è qualcosa che non reggo è la musica "difficile" tanto per essere "difficile". Come ho detto prima, in giro è abbastanza radicata l'idea che quanto è più complesso, tanto è eccellente e bello. Per me, e fortunatamente non solo per me, non è così. La musica deve essere prima di tutto efficace, intensa, vissuta e celebrativa. La complessità tecnica e compositiva deve essere al servizio della comunicazione dell'idea musicale, altrimenti si scade nel Circo e nell'Agonismo, una circense agonia, quindi direi una perversione. Ad ogni modo, in questi anni c'è un'originalità di idee molto vivace sulla scena italiana, ripenso al giovanissimo pianista Enrico Zanisi con il suo incredibile trio, o al M.A.T. con Marcello Allulli al sax Francesco Diodati alla chitarra e Ermanno Baròn, gruppo che ultimamente collabora con il creativissimo ed elettrico Antonello Salis, e molte altre formazioni fatte di ottimi musicisti. Non credo proprio che siamo in un momento di bassa, insomma.
D-Quante opportunità d'ascolto e di esibizione offre il territorio nazionale? Quali sono le difficoltà maggiori per gli artisti di oggi che cercano di farsi conoscere?
R- Passiamo alla domanda seguente...
No, scherzo. Anche se ad ogni modo, c'è poco da scherzare sull'argomento.
Sappiamo tutti ormai quanti gradi di febbre abbia la Cultura, e soprattutto quella musicale, negli ultimi tempi. L'offerta musicale in Italia c'è, non tantissima, non qualitativamente sempre eccellente, quasi mai pagata, spesso abbastanza cara, ma c'è. Il problema è che è sempre tutto un po' troppo difficile da fare e questo scoraggia tantissimo chi vorrebbe fruire della musica o addirittura, viverne. Alla base di tutto c'è una debolissima istruzione musicale a scuola, una poca perizia degli insegnanti di musica in generale e i pregiudizi comuni del popolo, alto o basso che sia, riguardo al mestiere della Musica. La figura del Musicista qui in Italia è fraintesa, incompresa, inconsciamente denigrata. Noi musicisti, di tutti i "credo musicali", dobbiamo applicarci per ristabilire la nostra dignità di lavoratori e produttori di arte e credo che l'unico modo sia organizzarci in collettivi, boicottare locali e festival che lucrano in malo modo, applicarsi per migliorare la qualità dei propri progetti artistici e soprattutto migliorare la qualità delle proprie capacità divulgative e di insegnamento della materia. Anche qui, non ci si deve improvvisare. Ci vuole onestà, correttezza, lucidità, entusiasmo e molto spirito di intraprendenza.
D-Progetti, impegni, ambizioni.
R- Practice, practice, practice!!! Esercitarsi, suonare, stare insieme il più possibile e condividere. Il Free-Hands trio suona periodicamente con Marcello Allulli, sassofonista a mio parere di una semplicità visionaria, il nostro mentore. Siamo affascinati dalla sua visione musicale e vogliamo ispirarci a lui per percorrere la nostra strada in quella direzione. Vogliamo prepararci per incidere l'anno prossimo un disco e, nel frattempo, portare a maggiore maturazione le idee che portiamo già dentro. Siamo tutti e tre convinti di camminare sul sentiero giusto. Poi se sono rose...!