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Il jazz (e non solo) nelle sei corde elettriche di Vincenzo Di Vita

Un artista originale, ma non innamorato del proprio connaturato eclettismo

Redazione
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Un artista originale, ma non innamorato del proprio connaturato eclettismo. Questo è Vincenzo Di Vita, chitarrista catanese con un lungo curriculum fatto di sostanza. Poco incline all’apparire in quanto tale, Di Vita ha messo la propria solida formazione accademica, di stampo prevalentemente classico, al servizio della libera espressione, della reinterpretazione, dell’improvvisazione: di quella improvvisazione che ha basi solide, quelle dello studio e della pratica.

Formatosi ai seminari di musica jazz di Siena, con conseguente superamento dei corsi di primo e secondo livello professionale, ha approfondito, come allievo del maestro Tommaso Lama, i corsi di chitarra jazz integrandoli con seminari sotto la guida di Joe Diorio e con ulteriori studi di armonia moderna e jazz applicati alla chitarra. Di Vita ha al suo attivo numerosi concerti in diverse formazioni jazz e cameristiche di musica classica.

Da tempo predilige la formazione di chitarra solo, con cui si è classificato fra i quattro finalisti di “Guitar Convention” (primo posto non assegnato) e premiato – come solista jazz – al concorso nazionale Amigdala. Ha inoltre partecipato a numerosi festivals jazz tra i quali, come didatta, al Jazz Day 2020 ed all’International Jazz Day 2021 con un suo video.

Le sue improvvisazioni armonico-melodiche sono pregne di spunti ed idee, seppur rimanendo racchiuse in un linguaggio volutamente legato alla melodia iniziale, al fine di tenere l’ascoltatore sempre attento all’esecuzione. Infatti, la mancanza di una sezione ritmica con Di Vita, invece di rendere più difficile la fruizione, finisce con il calamitare l’ascoltatore verso il linguaggio esecutivo del solista. Alterna l’attività concertistica – partecipando a festival jazz e non soltanto – con quella didattica.

Una sua esibizione non ha mai un carattere “frontale” o “impositivo”: Di vita dialoga costantemente con il pubblico, rendendolo partecipe delle scelte, aggiungendo sprazzi di vita musicale e “giocando” talora con l’individuazione del brano eseguito. Delle doti di intrattenitore, sempre molto apprezzate, che non scadono nella “recita” bensì “infrangono”, usando una metafora teatrale”, la “quarta parete”, portando una serata da lui guidata, quale che sia la consistenza numerica del pubblico, una genuina serata fra amici, che sovente prosegue dopo che l’amplificatore si è spento.

Dal punto di vista del setup, Vincenzo Di Vita predilige suoni puliti, genuini, senza effetti né pedaliere. La “magia” è fatta dalle sue mani, dall’inventiva, dalla sua cultura ed esperienza. Legatissimo alla sua archtop (non è possibile vederlo suonare altri strumenti), con la stessa dà vita a un tutt’uno, senza nemmeno il plettro a mediare il rapporto con le corde. Semplice e potente l’amplificazione, e immancabile il suo storico e ormai proverbiale sgabello: un misto di comodità e scaramanzia, che non guasta mai.

Il repertorio? Vasto come la musica stessa. Citare autori e composizioni sarebbe semplicemente riduttivo: se non mancano – ovviamente – gli standards jazz, le incursioni nella musica d’arte e in quella leggera non sono da meno. Un suo concerto è un viaggio con un musicista e un didatta che, scevro dal cercare la facile notorità, ha “navigato”, visto e vissuto decenni di musica italiana ed internazionale. Dopo la lunga pausa pandemica, durante la quale Di Vita ha preferito non “surrogare” con quel tipo di esibizioni in diretta streaming divenute improvvisamente popolari durante il lockdown, il nostro ha rapidamente e agevolmente riguadagnato il palco in varie esibizioni all’allentarsi delle restrizioni. Ed è stato nuovamente un successo.

Il futuro? Ovviamente il palcoscenico. Piccole o grandi locations, festival o esibizioni personali. Le mani, la sua chitarra, l’amplificatore e l’inseparabile sgabello: non serve altro. Per Di Vita la musica è materia vivente (al pari di quella che ha studiato ed insegnato in un’altra parte della sua vita), che non punta a “cristallizzare” o “mummificare”, per utilizzare un termine suo. Ogni sua esibizione è diversa dall’altra, i punti fermi sono quelli già detti, compreso il rapporto con il pubblico. Generoso e disponibile, e al tempo stesso rispettosamente fermo nella propria identità e nelle sue scelte da musicista, Vincenzo Di Vita certamente darà ancora piacevoli sorprese ed un grande contributo per una musica che non è “Made in Sicily” per un dato geografico o folkloristico, bensì per quell’animo aperto, ospitale, creativo e sempreverde che caratterizza quanto di buono ha da donare questa terra al prossimo.

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