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Valentina Martelli, la poliedricità del giornalista

Dall’inviata alla produttrice, una carriera fatta di sfide vinte

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Martelli, Valentina. Uno dei tanti modi (forse quello più versatile) di dire Tg3. Concittadina di Giovanni Comisso e di Luciano Benetton. Dal placido, schivo e industrioso Trevigiano (lo stesso suolo che ha dato i natali a Gian Antonio Stella) strada ne ha fatta abbastanza: e non solo come giornalista. Se vuoi essere un inviato devi avere lo spirito del globetrotter nel sangue: ma per girare il mondo bisogna pur sempre partire dal territorio locale, e quindi passare da quello nazionale. Bisogna partire dalla cronaca, insomma, E poi arricchire la propria esperienza con tutti gli strumenti necessari a capire il mondo: lo sport, la scienza. Dopodiché, se c’è la vocazione al cosmopolitismo, la… chiamata degli Esteri arriva. Dagli scenari di guerra dei Balcani al centro della California: ma, in definitiva, per essere cosmopoliti non occorrerà avere anche quell’elasticità nella visione del reale che è propria di chi sa conciliare gli aspetti più problematici con quelli più ameni, se non addirittura brillanti? Di sicuro, grazie a questa sua naturale trasversalità tra informazioneleggera”, proposta con una frizzantezza molto sensibile al pubblico teen, e informazione seria, comunicata in modo altrettanto accattivante, Valentina è riuscita ad onorare in modo più che degno, e per molto tempo, un impegno non semplice come quello del Gt Ragazzi, sfuggendo anche alla facile tentazione di farne uno spazio educazionale. Poi, chi sta al passo col mondo, sa perfettamente che le sfide della vita e del lavoro richiedono di allargare costantemente i propri interessi, di dare elasticità anche alle proprie competenze: di evolversi, in una parola, in continuità con la propria identità professionale. Quindi c’è da giurare che la Valentina produttrice televisiva sarà sempre la solita, interessante,  Valentina giornalista/inviata. Cominciamo, però, da una tappa “cruciale” del suo percorso: l’informazione formula young.       

Valentina, l’informazione è sempre stata riservata agli adulti, ma non sono mancati esperimenti in senso contrario. Il GT Ragazzi mescolava argomenti appetibili per un pubblico giovane con notizie serie. Ma è davvero così difficile far ”digerire” la Politica, l’Economia e gli Esteri ai ragazzi, specie in un momento dove, ad esempio in Italia, la politica sembra essere stata assaltata dalle cosiddette “giovani generazioni”?

Reputo il GT Ragazzi una delle esperienze giornalistiche più interessanti e importanti che io abbia avuto.  Purtroppo non sufficientemente apprezzato qui da noi. Ed è un vero peccato perché, proprio come Newsround, l'appuntamento quotidiano  della BBC, era molto più che un “esercizio di stile” nel mondo del giornalismo. Certo non è stato facile, all’inizio, abituare i ragazzi a guardare un notiziario invece che una serie Tv o dei cartoni animati. Ma, proprio per la loro natura, i ragazzi sono curiosi e, se fornisci argomenti interessanti, ti danno sempre una possibilità. In più il ruolo delle immagini e del linguaggio è stato fondamentale al GT. Per loro ma anche per me. Voglio dire: fare, ad esempio, politica senza coinvolgere i politici... mi ha insegnato un nuovo modo di comunicare. Stessa cosa per argomenti di esteri o di economia e di cronaca. La notizia quindi senza la ricerca del mero “sensazionalismo” è un costante e quotidiano esame di autocoscienza. Una prova deontologica, che non puoi fallire. E un po’ alla volta i risultati si erano visti... Poi è arrivata la scelta di togliere il GT dal palinsesto. Certo, magari gli ascolti non sempre premiavano, ma è stato comunque un peccato.

Per quella che è la tua esperienza internazionale, come sono messi gli altri Paesi sul fronte dell’informazione a misura dei “più piccoli”?

Come dicevo, capostipite è sempre stata la britannica BBC. Negli Stati Uniti, invece, purtroppo c’è molto poco, un settimanale il sabato mattina, fatto da Nickeloden, e un altro simile della PBS, la televisione pubblica, che, a differenza dalla nostra, si autofinanzia con versamenti del pubblico. Ho chiesto ai principali network, NBC, ABC, CBS  perché non avessero nulla. Dietro la  risposta vaga degli ascolti, ho potuto constatare che si nasconde una verità puramente economica. Un telegiornale in diretta costa molto di più di una serie di cartoni animati che può essere mandata in replica decine di volte.

Da sempre la tua specialità, e magari vocazione, sono le interviste. Diresti che l’intervista è la cosa più affascinante per chi fa il giornalista? E l’intervista, a cosa serve? Solo ad assicurare il classico “quarto d’ora di celebrità”?

Intervistare una persona significa stabilire in qualche modo una sorte di empatia con essa. Per questo l’intervista rappresenta sempre qualcosa di molto importante dal punto di vista giornalistico. Le persone che più mi interessa intervistare sono quelle che non vogliono raccontare... e, invece, di solito sono quelle che hanno più cose da dire. Diffido spesso da chi al contrario si dice disponibile. Spesso ha quella che in America, viene definita “agenda”, ossia uno scopo.

Da molti anni ti cimenti anche con il ruolo di inviata dall’estero; essere inviato, secondo te, significa rendicontare o costruire una propria narrazione intorno a un Paese?

A me piace tutto del mestiere di giornalista: la ricerca, la scrittura, la produzione, la conduzione. Credo di essere fortunata perché, grazie a questo mestiere, ho viaggiato molto, dal Kosovo alla Macedonia, diversi Paesi europei e poi gli Stati Uniti. Già, gli Usa: una realtà incredibile e piena di contraddizioni. Il paese delle opportunità e delle restrizioni.  Della libertà e della rigidità. Il vero meltin pot. Non c’è un luogo uguale all’altro, negli Usa, anche se apparentemente potrebbe sembrare una sorta di ripetizione incessante del modello “prefabbricato”. Poter raccontare questo mondo è per me una fortuna, e soprattutto raccontarlo in questi anni di cambiamenti socio-economici dove, da leader, l’America si è trovata a diventare inseguitore, e poi di nuovo in qualche modo leader. Ma quello che mi colpisce ogni volta è il vigore. Il vigore di una nazione che può non piacere a tutti ma alla quale molti ambiscono. Che è ancora una sorta di terra promessa. Quello che è cambiato sono gli immigrati che ora vi ambiscono: iraniani, cinesi, russi, non solo sudamericani. Ognuno con proprie storie e quindi portatore di un bagaglio di ricchezza umana ed esistenziale. Le avventure di molti di loro nascono come semplici scommesse,  che spesso, però, finiscono col diventare vincenti. E parlo, ovviamente, delle vicende di immigrati che arrivano legalmente. Quello dell’illegalità è invece un canale fatto di storie tremende, di cui abbiamo anche esempio in questi ultimi anni, nel nostro Paese. Ecco...da inviata questo è ciò  che mi piace raccontare e spero di riuscirci. Che si tratti di parlare di economia, di politica, di costume, di cinema...

Oltre che giornalista, sei anche produttrice televisiva. Qual è la tua televisione ideale, e il palinsesto che ti piacerebbe sfogliare?

Effettivamente è così. Scoprirmi produttore esecutivo stata un’illuminazione. Mi piacerebbe continuare a farlo. Ho imparato negli Usa. Da queste parti, quando qualcuno passa in qualche modo dall’altra parte della telecamera,  si dice: “hai deciso di prendere il toro per le corna”. E così ho fatto. Mi sto cimentando in un corto d’animazione, scritto e diretto da un’italiana, Cinzia Angelini (ma è ormai prossimo il debutto della stessa Valentina anche dietro la macchina da presa, ndr) . Non abbiamo finanziamenti, ma il progetto ha riscosso talmente tanto successo nel mondo dell’animazione che ormai ci lavorano, in remoto, oltre 250 persone da una trentina di paesi diversi. Tutti gratuitamente. Il messaggio infatti è talmente importante che in tanti abbiamo deciso di portarlo avanti dando in aiuto nei modi e nei tempi opportuni. 
Il corto racconta la storia vera di una bambina che durante la seconda guerra mondiale, perde la mamma, vittima dei bombardamenti nella città di Trento . Una storia molto bella, accaduta veramente. La bambina si chiama Mila
Inutile dirlo: la televisione che mi piacerebbe sempre vedere è quella non urlata. Il vero rumore non è prodotto dal baccano

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