Un duro dall’aspetto sofisticato. Con i suoi pantaloni fiorati e damascati sarebbe l’interprete ideale per un ruolo da detective eccentrico e neo-dandy (post-dandy); ma Daniele Cesarano ha scelto da tempo di stare dall’altra parte, e cioè di crearli i personaggi indaganti, che prenderanno poi vita sul set.
Quanto al glamour e ai fronzoli macho-carismatici, inutile aspettarsi concessioni: il suo credo artistico-letterario è abbastanza lontano da Victor Fleming e Mickey Spillane, e il principio su cui si basa recita che l’aderenza alla realtà è garanzia della credibilità dei personaggi, e quindi della loro presa sul pubblico.
Fosse nato e cresciuto in America, probabilmente si sarebbe trovato bene alla corte di Steven Bochco (NYPD), di Dick Wolf (Law & Order) o di David Simon (The Wire). Ma, da sceneggiatore italiano operante in Italia, anziché piangersi addosso, ha preferito, per esempio, contribuire all’ideazione della bella risposta italica agli investigatori di Las Vegas, R.I.S. Già: dopo gli esordi da regista nel lontano 1989, quasi tutta la produzione di Cesarano si è mossa nell’universo del giallo-noir, laddove però la fiction attinge sempre di più al reale. Distretto di polizia, R.I.S., Donne assassine, Il mostro di Firenze, Romanzo criminale, A.C.A.B., Il clan dei camorristi. Da ultimo (ma non si tratta certo della fine di un percorso) Le mani dentro la città. Quando la scrittura si fa dura, i duri cominciano (e continuano) a scrivere.
Daniele, che rapporto c’è tra cronaca e fiction? Come si può “sceneggiare” la cronaca?
Non si sceneggia la cronaca, si sceneggia la realtà. La cronaca, di per sé, non è che un campionario di materiali grezzi da cui si possono ricavare spunti narrativi.
Da La piovra a Romanzo criminale: com’è cambiato il modo di sceneggiare la criminalità da allora ad oggi?
Sono cambiate molte cose, innanzitutto il baricentro di osservazione nel rapporto buoni-cattivi. Ne La piovra c’era un protagonista maschile centrale, che impersonava immancabilmente l’eroe virtuoso: quindi avevamo un mondo visto con gli occhi del buono. In Romanzo criminale i protagonisti sono i cattivi, i ragazzi che sono o diventeranno i leader della banda della Magliana, nella loro crescita verso il male. In effetti questa sensibilità nuova nei confronti dell’analisi del male, visto “dal di dentro”, sembra permeare tutta la più recente produzione seriale in materia, italiana (si veda anche Gomorra) e naturalmente straniera.
Che cos’è la “via italiana” alla serialità di tipo poliziesco e indagativo?
Al cinema gli 2spaghetti cops" sono stati protagonisti di una stagione storica ben definita (e, forse, potremmo dire esaurita). Nella televisione, invece, chiusa l’epoca dei grandi investigatori classici (compresi il commissario Cattani ed epigoni, anche se resiste Montalbano, ndr), la maggiore longevità del genere credo sia dovuta ad una dimensione ibrida del racconto, che ne ha favorito anche una trasformazione sempre più marcata in prodotto di intrattenimento per famiglie. Se ci si fa caso, il protagonista indagante nella maggior parte dei casi non è un poliziotto o un detective tout court, ma è sempre qualcos’altro (un insegnante, un sacerdote, uno psicologo etc.). Tuttavia , ci tengo a ribadirlo, sia Romanzo criminale che Gomorra appartengono già ad un’altra epoca, più fortemente influenzata dai modelli anglosassoni: in effetti non possiamo neanche parlare di poliziesco, bensì di vero e proprio mob-show.
Se ciò che vale la pena di sceneggiare è la realtà, essa fa sempre rima con attualità. Parliamo di “Mafia Capitale”, l’intreccio perverso tra criminalità e politica che ha recentemente sconvolto Roma, la città in cui vivi. Che consigli daresti ad uno sceneggiatore che si trovi ad affrontare lo scottante argomento?
Direi che non partirebbe privo di appigli bibliografici. C’è un libro, in realtà, che ha addirittura anticipato la vicenda e mi riferisco a Suburra (di Bonini-De Cataldo, uscito per Einaudi nel 2013, ndr). Da esso Stefano Sollima ha già tratto un film, che uscirà nelle sale prossimamente. Siamo in attesa di vedere, dunque, come questa storia sarà maneggiata nella dimensione del grande schermo. Sul piccolo, nel frattempo, il consiglio che potrei dare a un collega è quello di andare oltre la patina dello scandalo, cioè, per tornare a monte, oltre il velo della nuda e bruta cronaca. Al di là dei freddi dati da inchiesta c’è sempre una realtà nascosta e palpitante, che tocca allo sceneggiatore mettere in luce.