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Licenziamenti al tempo del “Jobs act”

Nel dettaglio i tipi di licenziamenti previsti con il il D.Lgs. 23/2015,

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Il famoso Jobs Act è entrato in vigore il 7 marzo 2015 e ha scardinato il sistema di tutela del lavoro . Il famoso articolo 18 resta in vigorie per i contratti posti in essere prima di questa data ma vediamo gli altri di nuova generazione.

Il Licenziamento discriminatorio È sempre nullo , ossia quel licenziamento previsto per un lavoratore perché appartenente ad un sindacato e perché ha preso parte ad uno sciopero. O perché appartenente a d un partito politico, religione etnia o sesso. per matrimonio o uso dei congedi di maternità, paternità e parentali, inefficaci per mancanza di forma scritta o quando il giudice accerti motivi legati alla disabilità fisica o psichica del lavoratore. La normativa però non è prevista per i dirigenti. Nel caso sia messo in atto e poi riconosciuto il lavoratore ha diritto ad essere reintegrato oppure ad avere una indennità per l’ammontare di 15 mensilità, mentre il datore di lavoro risarcire con le al retribuzioni spettanti dal licenziamento fino alla reintegrazione.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo Solitamente legato ad un momento di crisi vissuto dall’azienda e la cessazione dell’attività, il venire meno il venir meno delle mansioni del lavoratori senza la possibilità di reinserire il lavoratore in altri settori dell’azienda, compatibili con il livello di inquadramento salariale. Se il giudice non trova un motivo oggettivo che ha determinato licenziamento , dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità (senza contributi previdenziali) pari a 2 mensilità (1 per le aziende sotto i 15 dipendenti) per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità (non inferiore a 2 e non superiore a 6 per le aziende sotto i 15 dipendenti. Prima del decreto la mancanza di giustificato motivo oggettivo prevedeva le stesse tutele del licenziamento discriminatorio.

Licenziamento per giusta causa Il licenziamento per giusta causa è motivato da un comportamento molto grave del lavoratore per il quale non è previsto neppure un preavviso . In caso caso la faccenda è complicata . Se il giudice ritiene che la causa del licenziamento sia reale, ma da arrivare a questo tipo risoluzione e sarebbe stato sufficiente un provvedimento disciplinare, dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità (senza contributi previdenziali) di importo pari a 2 mensilità (1 per le aziende sotto i 15 dipendenti) per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità (non inferiore a 2 e non superiore a 6 per le aziende sotto i 15 dipendenti). Se invece il giudice ritiene il licenziamento  illegittimo, ossia il fatto materiale contestato non sussiste, allora si ha la cosiddetta “tutela reale attenuata”: il lavoratore ha diritto di scegliere tra la reintegrazione nel posto di lavoro o un’indennità pari a 15 mensilità, mentre il datore di lavoro viene condannato al risarcimento delle retribuzioni spettanti dal licenziamento fino alla reintegrazione, compresi i contributi previdenziali ma senza la sanzione per averli pagati in ritardo, dedotto quanto percepito, in quel periodo, per lo svolgimento di altre attività lavorative .

Licenziamento inefficace per violazioni formali Quando il licenziamento non ha efficacia perché presenta delle violazioni formali , (non stato seguito l’iter giusto oppure non è stato espresso il motivo del licenziamento) il giudice dichiara comunque estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità (senza contributi previdenziali) di importo pari a una mensilità (0,5 per le aziende sotto i 15 dipendenti) per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 12 mensilità (non inferiore a 1 e non superiore a 6 per le aziende sotto i 15 dipendenti).

Licenziamento collettivo inefficace e illegittimo Si parla di licenziamento collettivo quando un’impresa opera una riduzione significativa del personale in un momento di crisi, per una  ristrutturazione interna  oppure in vista della chiusura definitiva. Il licenziamento collettivo, disciplinato dalla L. 223/1991, si realizza attraverso una complessa procedura che può essere attivata soltanto in presenza di particolari condizioni, anche per quanto riguarda i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare. Se il giudice ritiene il licenziamento collettivo inefficace perché effettuato in forma verbale e non scritta, è prevista la tutela piena, e quindi quanto sopra riportato nel caso di licenziamento discriminatorio. Se invece il licenziamento è effettuato in violazione dei criteri di scelta, o senza il rispetto delle procedure sindacali previste, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità (senza contributi previdenziali) di importo pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità

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