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Cassa integrazione in deroga, un pozzo senza fondo

Il decreto del Governo colpisce giovani e precari

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«Il sistema attuale non regge, va superato. Da un certo punto di vista, capisco il governo: negli anni, la cassa integrazione in deroga è diventata un pozzo senza fondo, ma così non risolviamo il problema. Rischiamo solo di peggiorare la situazione». È cosi che reclamano le Regioni allo schema di decreto del governo, per fissare i nuovi requisiti d’assegnazione degli ammortizzatori in deroga. Portavoce è Gianfranco Simoncini, assessore al Lavoro della Regione Toscana e coordinatore degli enti locali in conferenza Stato-Regioni: «Il decreto è fortemente restrittivo, in maniera perversa: colpisce i giovani e i lavoratori più deboli. Vediamo solo criteri riducenti e risorse incerte». 

«È una riforma sbagliata sin dalle fondamenta», dichiara Enrico Vesco, assessore al Lavoro della Liguria. «Vogliono ridurre i beneficiari della cassa in deroga senza pensare a creare prima uno strumento sostitutivo, universale per tutti i lavoratori».
«Data l’esiguità delle risorse – aggiunge Leo Caroli, assessore al Lavoro della Regione Puglia, - avevamo adottato dei criteri restrittivi: niente cassa in deroga alle partecipate, a chi non aveva esaurito le ferie o gli ammortizzatori ordinari, per esempio. Ridurre ancora è un errore. Così resteranno scoperti tanti, anzi, troppi lavoratori».

Gli enti locali sollevano diverse obiezioni nel merito del decreto. Per migliorarlo, è necessario ricomprendere apprendisti, somministrati, giovani e precari nella platea dei beneficiari; abbassare l’anzianità lavorativa a 90 giorni; ammettere tra le causali anche le riconversioni e le cessazione di attività, con riferimento alle aziende esclusa dalla cassa straordinaria; e ridare più potere alle Regioni, sminuite al ruolo di semplici esecutori. Parallelamente si dovrebbe pensare ad un nuovo ammortizzatore, in grado di coprire tutte le tipologie di lavoratori di ogni azienda.

Dovrebbe essere pagato dalle imprese e non più a carico della fiscalità generale, ma con un alleggerimento della pressione fiscale, che consenta alle aziende di avere i soldi per “assicurarsi”. «Su questo fronte il governo sta facendo ben poco. Continua a ragionare con una logica esclusiva e non inclusiva», precisa Simoncini. Le Regioni, poi, puntano a modificare le impostazioni di base del finanziamento: lo Stato deve garantire il pagamento degli ammortizzatori a tutti coloro che hanno maturato un diritto.

«L’attuale situazione – spiega Lucia Valente, assessore al Lavoro della Regione Lazio – comporta una sperequazione tra chi chiede la cassa in deroga nei primi mesi dell’anno e chi, invece, arrivando in ritardo, non trova nulla». «È assurdo che gli ammortizzatori vengano assegnati in base a una lotteria, o al principio del "chi arriva primo"», ribadisce Caroli. Così, anche l’ultimo riparto di 400 milioni autorizzato negli scorsi giorn,i dai ministeri del Lavoro e dell’Economia risulta insufficiente.

«C’è ancora il buco dello scorso anno da saldare. Nel 2013, in Liguria, siamo riusciti a pagare le richieste solo fino al mese di giugno», afferma Vesco. «Il decreto, a fronte di una stretta sulla cassa in deroga, potrebbe comportare un aumento della spesa sulla mobilità»- aggiunge, poi Simoncini. Intanto, le Regioni attendono un nuovo vertice. In caso contrario sono pronte anche a gesti eclatanti: «Se le condizioni restano queste – afferma Valente –, restituiremo allo Stato le competenze amministrative sulla gestione degli ammortizzatori in deroga, considerato che la situazione attuale potrebbe portarci a problemi di ordine pubblico e di emergenza sociale». «Secondo me, il Governo vuole solo risparmiare sugli ammortizzatori sociali», conclude l’assessore ligure Vesco.

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