L’erede della presidenta Kirchner ha radici italiane.
ll nuovo capo dello Stato argentino è infatti l’ingegnere Mauricio Macri, cinquantasei anni, figlio di Francesco, imprenditore romano nato da genitori calabresi ed emigrato in Argentina nel 1948. Quest’ultimo, in realtà, all’anagrafe di cognome faceva Macrì (effettivamente, un cognome diffusissimo in Calabria), poi, però, per ragioni di adattamento fonetico alla lingua locale, esso assunse la forma con cui sarebbe stato destinato ad entrato nella storia del Paese.
Si chiude l’ennesima parentesi peronista in Argentina, iniziata con Nestor Kirchner nel 2003 e proseguita fino ad oggi, con Cristina Fernández in Kirchner. Un dodicennio che certamente restituì stabilità al Paese, scosso dall’oltremodo difficile successione a Menem dal 1999 al 2002, anche per l’imperversare di una crisi economica tra le più violente nella storia argentina (e, secondo alcuni osservatori, il primo vero antefatto della crisi globale che si sarebbe sviluppata alla fine del decennio).
Ma non privo di lati oscuri: i dati dell’inflazione truccati dall’INDEC (l’Istat argentino) antipatico souvenir lasciato da Kirchner alla moglie, con la conseguente penalizzazione da parte dell’FMI; l’impopolare aumento delle tasse sulle esportazioni agricole (deciso nel 2009 proprio per fronteggiare il ritorno della crisi), incrociato ad interessi personali sulla distribuzione dei ricavi; e, in ultimo, i guai giudiziari della signora Kirchner, che, per salvaguardare una serie di vantaggiosi accordi petroliferi con l’Iran, si era resa complice dell’insabbiamento delle indagini su una strage, che nel 1994 era stata firmata da Hezbollah contro la comunità ebraica di Buenos Aires, e che aveva la regia occulta propria di Teheran.
Ora si cambia pagina con i conservatori di Francisco Macri, leader del Pro (Partito Proposta Repubblicana) e, assicura il neoeletto, “la nuova era sarà meravigliosa”. Al candidato peronista, Daniel Scioli (anch’egli di origini italiane, per la precisione molisane), non è bastato sbandierare i dati sulla diminuzione della povertà che, dal 2006 al 2009, è passata dal 21 all’11%, o puntare su alcuni provvedimenti della regenta indubbiamente meritori, come l’assegno in favore delle famiglie meno abbienti. Così la notte di lunedì si è dovuto rassegnare a riconoscere la sconfitta al ballottaggio del giorno precedente, domenica 22 novembre, e a fare le congratulazioni per telefono al suo nuovo presidente.
A Macri è andato il 51,8% dei voti, a Scioli il 48.