Quando combattono contro gli infedeli occidentali sembrano simili, in potenza e organizzazione, alle grandi multinazionali del terrore. Quando combattono tra di loro, appaiono poco più che clan.
Parliamo dei talebani, che tornano a far parlare di sé in Afghanistan con una serie di violenti combattimenti nel sud del Paese tra opposte fazioni. Teatro degli scontri, più precisamente, la provincia di Zabul, dove, secondo alcune fonti, sarebbe sepolto il mitico mullah Omar (vedere articolo del 31 luglio su La Presse, www.lapresse.it). Infatti ad essere l’un contro l’altra armate si trovano la fazione che fa capo al mullah Akhtar Mansur (o Mansoor o Mansour), considerato il diadoco di Omar, e quella scissionista (ma potremmo dire anche più tradizionalista) che guarda con simpatia all’Isis e ha già adottato tra i suoi simboli la bandiera nera del Califfato.
La notizia, infatti, è che nell’universo talebano si affaccia e prende sempre più forma una corrente moderata, di cui si fa interprete, e sin dal 2013, proprio il “grande capo” Mansur, promotore dell’apertura del primo “ufficio politico” del movimento talebano a Doha, in Qatar. Lo scorso mese di luglio, in funzione anti-isis, il governo di Kabul aveva intavolato colloqui di pace con i talebani “moderati”: in effetti, nella lotta contro la temibile filiazione di al-Qaeda, l’apporto di una milizia islamista che vi si oppone non sarebbe certo di poco peso.
Stando a quanto riferiscono le autorità locali citate da al Jaazera, nella battaglia di Zabul si conterebbero una cinquantina di morti.