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Guatemala, tolta immunità a presidente

Ma il capo dello Stato non intende dimettersi

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Una vicenda di mazzette.

Che venivano pagate per far passare merci alla dogana guatemalteca, a un decimo delle tariffe normali. Dietro tutta questa macchinazione, che andava avanti da anni, non c’era nessuna lobby commerciale o industriale, ma la voracità affaristica del presidente stesso,  Otto Pérez Molina, sessantaquattrenne generale in pensione, che è in carica dal 14 gennaio 2012.

In Guatemala fra tre giorni esatti (cioè esattamente domenica prossima), si celebreranno le prossime elezioni presidenziali, anticipate. E quasi alla vigilia di questa scadenza fondamentale, quando le preoccupazioni politiche di un intero Paese sono in tutt’altra direzione dirette, il Parlamento, dopo un lungo dibattito interno, quasi a volerlo mettere fuori gioco a poche ore dalla partita, ha deciso finalmente di togliere l’immunità al capo dello Stato. Questo dovrebbe consentire, automaticamente, alla Procura di avere via libera per poterlo incriminare e, quindi, arrestare.Lui, il grande accusato, come da prassi si protesta innocente e dichiara che non si dimetterà.

Pérez Molina, generale a capo delle forze speciali dell’esercito guatemalteco (Kaibiles) ai tempi del regime militare, nel 1996 si trovò a rappresentare le forze armate alla firma dell’accordo di pace tra governo e guerriglia rivoluzionaria, al termine di un conflitto civile durato un trentennio. Ritiratosi dalla vita militare nel 2000, l'anno dopo fondò un partito di destra, il Partido Patriota, a capo del quale vinse le presidenziali del novembre 2011.

In pratica anche l'intoccabile Molina si è trovato ad essere coinvolto nel medesimo, pruriginoso affaire che aveva già portato alla caduta della vicepresidente Roxana Baldetti, e aperto la strada alle elezioni anticipate. Questo non significa naturalmente che, prima di aver a che fare con questa “tangentopoli maya”, la sua immagine fosse completamente immacolta: qualche tempo fa, infatti, era stato denunciato all'ONU da tre attivisti americani per presunti crimini legati alla violazione dei diritti umani ai tempi in cui era membro del regime militare (anni ’80).

 

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