Crimini di guerra.
Un concetto espresso già tantissime volte dalla stampa e dagli osservatori internazionali, oltre che dagli amanti dell’arte e dell’archeologia. Le sistematiche depauperazioni compiute dall’Isis in Iraq e Siria ai danni del patrimonio archeologico dei due Paese sono a tutti gli effetti equiparabili a genocidi o ad altre stragi umanitarie. Crimini di guerra, appunto. Il medesimo concetto è stato ribadito dall’Onu, nella persona del suo segretario, il coreano Ban Ki-moon, all’indomani della distruzione del tempio di Baal Shamin a Palmira. La goccia che farà traboccare finalmente il vaso dell’indignazione, o l’ennesimo anello di una catena di orrori a cui il mondo continua a guardare con masochistica rassegnazione, aspettando un’indecifrabile nemesi sotto forma di escalation militare occidentale o di conflagrazione interna al mondo islamico?
“I responsabili dovranno rispondere alla giustizia”, dice il Palazzo di Vetro. Per il momento ciò che è tangibile è ciò che non è più materialmente tangibile, cioè quello che si è perso, l’ennesimo tesoro architettonico raso al suolo: un luogo di culto, sacro ad una divinità equiparabile al Mercurio greco-romano, per effetto di quel fenomeno noto come “sincretismo”, e risalente al I secolo d.C. Un baluardo del paganesimo, in un mondo mediterraneo dove già avanzava implacabile la cultura cristiana, mentre i primi vagiti dell’Islam erano ancora di là da venire.
Perché, in fondo, se si vuole è questa la colpa del tempio di Baal Shamin come degli altri monumenti e reperti vittime della mannaia del Califfato: quella di rappresentare momenti di eccellenza della civiltà umana assolutamente estranei all’Islam (quantomeno alla sua versione più intollerante e fanatica), che possono minacciarne il primato culturale.
Ma in realtà lo Stato islamico non ha solo un conto aperto con l’archeologia mediorientale: ce l’ha anche con i suoi paladini. La notizia della distruzione dell’aedes palmirena, a pochi passi dal Teatro romano, trasformato dall’Isis in luogo di martirio, arriva infatti quando ancora non si è placata l’ondata di sdegno per la brutale uccisione dello studioso Khaled al Assad, la massima autorità archeologica per ciò che concerne il sito di Palmira, di cui in passato era stato anche direttore.