Fukushima? Pagina dimenticata, quantomeno superata, e le recenti vicende giudiziarie stanno contribuendo in tal senso.
In Giappone la parola d’ordine è: tornare alla produzione dell’energia nucleare. Con il beneplacito del governo di Abe, che anche nel corso delle recenti cerimonie commemorative per i settant’anni di Hiroshima e Nagasaki ha ribadito il concetto: nonostante il trauma della memoria, nonostante la chiara e forte coscienza del "mai più", nucleare si può e si deve. Per il progresso della società civile.
Gli ambientalisti sul piede di guerra, e già promotori di un ricorso legale contro la riapertura degli “impianti della morte”, dovranno, insomma, mettersi l’anima in pace. Potranno, magari, parzialmente consolarsi per il fatto che le norme, e non poteva essere altrimenti, rispetto al 2011 saranno più stringenti dal punto di vista della sicurezza; per tutto il resto, però, si tornerà ai livelli di produzione e agli obiettivi industriali dello status quo antea: del resto tutta la storia giapponese del dopoguerra racconta di una volontà di acciaio nel rialzare la testa da un incubo apocalittico, e di un coraggio masochistico nel tuffarsi dentro la tecnologia alla base di quell’incubo, per non rimanere indietro rispetto agli altri Paesi. Dopo quasi quattro anni di doveroso black-out, dunque, anni in cui le cinquantaquattro centrali atomiche sparse in tutto il territorio giapponese sono rimaste mute, si ricomincia.
La prima azienda a rispondere all’implicito appello dell’esecutivo è la Kyushu Electric Power Company (Kepco), che questa mattina, conformemente a quanto annunciato ventiquattr’ore prima, ha attuato il riavvio del reattore 1 della centrale di Sendai, città della prefettura meridionale di Kagoshima, nell’isola di Kyushu (in effetti c’era il permesso dell’amministrazione locale sin dal dicembre 2014).
Il reattore comincerà a generare elettricità a partire da venerdì, e ai primi di settembre dovrebbe tornare ai ritmi produttivi di mercato.