Si chiama Mers.
Suona un po’ come la Sars, il flagello che durò lo spazio di due stagioni, il periodo tra l’inverno e la primavera del 2003. Sempre di sindrome respiratori acuta si tratta, in effetti, e la causa è sempre un maledettissimo coronavirus. Cambiano le prime due lettere, che si riferiscono all’area di incidenza geografica: Middle East, Medio Oriente. Iraq, Palestina, Israele e paesi del Golfo Persico? Esatto, perché il primo caso di questa malattia fu registrato, storicamente, proprio in Arabia Saudita, nel novembre del 2012.
Poi la Mers si è spostata in Estremo Oriente, dopo aver fatto anche una fugace capatina in Europa, aver visto la Grecia e persino l'Italia: a Firenze, infatti, nel maggio del 2013, se ne ebbero ben tre casi in trattamento, ma, in pratica, non se ne accorse nessuno. Niente Cina, però, e niente Guangdong, già teatro della strage epidemica operata dalla Sars, Ma neppure così distante da lì: adesso, sono gli abitanti di Seul, e del resto della Corea del Sud, a girare per le strade con le mascherine bianche e la tetra angoscia che, dieci anni fa, avevano gli abitanti di Canton e degli altri distretti di quella regione cinese.
Ai daeaniti (i coreani meridionali), in realtà è andata forse un po' peggio: se la Sars, infatti, ha una mortalità del 10%, la Mers ne vanta una del 30. Però è meno infettiva: ma questo dato può servire davvero a consolare, quando il ministro della Salute sudcoreano, Chin Young, è costretto a contare qualcosa come centoventisei casi di contagio nello spazio di poche settimane? E il numero delle persone colpite, ora dopo ora, non accenna a diminuire: altre cinque sarebbero già pronte per le procedure di isolamento. Finora sono undici i decessi da Mers accertati nel Paese, ma davvero non si può sapere come e quanto questo bilancio potrebbe aggravarsi.