Alle soglie dell’estate in Ghana può succedere che si verifichi un incidente causato dal maltempo.
Il maltempo, infatti, è proprio il fattore, o comunque il quadro aggravante, che i vigili del fuoco hanno chiamato in causa per spiegare il disastro accaduto, mercoledì 3 giugno, in una stazione di rifornimento di gas e benzina ad Accra, la capitale del Paese.
Un’esplosione all’interno dell’impianto ha causato settantotto morti, secondo le prime agenzie. Nel corso della stessa giornata ci ha pensato poi l’agenzia Reuters, sulla scorta di una fonte di prima mano, e cioè Prince Bill Anaglatey, vice responsabile delle relazioni pubbliche dei vigili del fuoco, ad aggiornare tristemente il bilancio: le persone morte sono ben novantasei, poi cento, poi centocinquanta, quindi settantacinque, e ora quasi duecento. Ad esse si aggiunge un numero di feriti è diventato di ora in ora indefinibile (fino al pomeriggio di ieri si parlava di dieci). E non si contano le carcasse carbonizzate di auto e altri mezzi di trasporto: un vero e proprio cimitero meccanico. Alcuni cadaveri sono stati trovati proprio all’interno di un’automobile.
I pompieri, interpellati dalla radio nazionale JoyFm, hanno detto che molte persone (qualcosa in più di un centinaio, da quello che si può chiaramente arguire), per cercare riparo da una violentissima pioggia torrenziale che stava praticamente mettendo in ginocchio Accra, si erano ammucchiate all’interno della stazione. L’incendio, sempre secondo la testimonianza dei vigili, sarebbe partito da un camion, che trasportava materiale infiammabile ed era parcheggiato nelle immediate vicinanze dell’impianto, per poi propagarsi tutto intorno entrando fin dentro la stazione.
Il capo dello Stato ghanese, John Mahama, prontamente accorso sul luogo del disastro, ha parlato di una ferita profonda per il Paese. Ma non ha potuto fare a meno di osservare come il flagello pluviale sia ricorrente in Ghana, e come si continui colpevolmente a non far nulla per limitarne l’impatto devastante, prima di tutto sul piano edilizio. Molte delle persone perite nel disastro, infatti, se anche fossero sopravvissute, si sarebbero trovate con la casa da ricostruire.
Abitazioni, esercizi ed uffici nei quartieri popolari continuano ad addensarsi, con parecchia sprovvedutezza e senza regola, sul livello della strada, e spesso in modo da coprire anche quegli spazi che potrebbero servire per far defluire le acque piovane. Così, quando le arterie stradali e pedonali si trasformano in fiumi in piena, non esiste diga per arginarli.