Che il calcio in Brasile fosse uno psicodramma prima ancora che lo diventasse in Italia è una cosa risaputa: sono ormai entrati nella leggenda i racconti che parlano di suicidi di massa dopo la finale del mondiale del 1950, perso in casa dai verdeoro contro l’Uruguay. Il giorno funesto del Maracanazo.
Se la scorsa estate la cosa non si è ripetuta esattamente come allora, nonostante l’esito sia stato lo stesso, è perché lo psicodramma era iniziato già prima, e per problemi che col calcio avevano poco a che fare: un quadro emotivo legato ad una delicata situazione economico-sociale, prima di tutto, che ha sbriciolato la testa e le gambe della Seleçao nel momento decisivo. Ma si è trattato comunque di un’ulteriore riprova che in Brasile il football è in primis una questione che ha che fare col cuore e con l’intelletto.
Ma la violenza tra supporters, a parte qualche episodio di rivalità storica o campanilistica, non si credeva potesse essere nello spirito della calciofilia brasilena: e invece, caduto qualche mese fa il mito della Grecia, madre della cultura olimpica, anche in Brasile ora la cronaca parla di morti di tifo calcistico. Otto sostenitori del Pavilhao Nove, gruppo ultrà legato al Corinthians, squadra di calcio di San Paolo, sono stati uccisi nella loro stessa città la notte del 18 aprile, alla vigilia del derby col Palmeiras, valevole per la semifinale del campionato nazionale. Uno dei fatti di sangue legati al calcio più rilevanti nella storia del Brasile: ma che forse, a consolazione degli amanti del mito del calcio brasiliano, col pallone di cuoio propriamente detto potrebbe avere poco a che fare.
Dietro ci sarebbe, infatti, una vicenda da romanzo criminale.
Rete Globo, ricostruendo l’accaduto sulla scorta di fonti della polizia militare, ha parlato di due uomini armati (La Stampa ne conta tre) che hanno fatto irruzione nel locale dove erano festosamente riuniti i tifosi. Dopo averli fatti sdraiare, li avrebbero uccisi. I due uomini non sarebbero emissari della tifoseria avversaria, bensì killer del narcotraffico incaricati di regolare i conti con alcuni esponenti di quel gruppo di supporters, primo fra tutti il capo-tifoso, quel Fabio Neves Domingo che nel 2013, in veste di tifoso della nazionale, fu responsabile della morte di un adolescente boliviano colpito da un razzo da lui lanciato. Anche altri dei suoi compagni freddati avevano precedenti penali.
Intanto in Egitto la Corte d’Assise di Port Said ha condannato a morte undici persone, a conclusione del processo d’appello per gli scontri tra tifosi delle due squadre di calcio dell’Al-Masry e dell’Al-Ahly, scontri che, nel febbraio del 2012, provocarono settantadue morti e cinquecento feriti. La sentenza della Corte d’Appello non è però quella definitiva: i giudici infatti, ha rinviato il caso al Gran Muftì, che però, pur essendo la più alta autorità giuridica di un Paese islamico, può solo esprimere un parere consultivo. In ogni caso il verdetto definitivo non arriverà prima del 30 maggio.