Cinquecentoquaranta morti e millesettecento feriti.
E’ il numero complessivo dei morti in Yemen stimato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità a partire dal 19 marzo, cioè da qualche giorno prima dell’inizio della campagna “Tempesta risolutiva”. Il 19 marzo gli Houthi, i ribelli sciiti che fiancheggiano l’ex presidente Saleh, bombardarono il palazzo presidenziale di Aden, nel sud dello Yemen, dove il deposto presidente Hadi si era rifugiato. Da quel momento iniziò una drammatica escalation della guerra civile yemenita culminata, il 26 marzo, con la dichiarazione di guerra agli Huthi dell’Arabia Saudita e della coalizione guidata da essa.
E nelle guerre, si sa, in genere a pagare il costo più alto sono sempre i bambini. A differenza di quello dell’Oms, il pallottoliere dell’Unicef non tiene conto del periodo anteriore all’operazione a guida saudita. Dal 26 marzo ad oggi, sul fronte delle vittime di età infantile, l’agenzia diretta da Anthony Lake ha calcolato settantaquattro morti e quarantaquattro feriti. “Un prezzo intollerabile”, ha detto un portavoce del Fondo. Se in Iraq e in Siria, dove si combatte contro l’Isis, l’emergenza sembra essere diventata la difesa del patrimonio artistico-archeologico, qui nello Yemen la priorità sembra proprio proteggere i civili minorenni. In tanti sono già stati “uccisi, mutilati e costretti a fuggire dalle loro case”, aggiunge il portavoce.
Nello Yemen, intanto, la guerra continua. Il 7 aprile caccia della Coalizione araba hanno bombardato la base militare di Anad, non lontano da Aden. Lo riferisce al Jazeera. Il raid è stato in sostanza un’azione di appoggio ad un tentativo dei miliziani del sud, sostenuti dalla Coalizione, di riconquistare quella base occupata dai combattenti sciiti fedeli all’imam al Houthi (da cui il nome).