Sono passati esattamente trentacinque anni da quel 24 marzo 1980, quando Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, veniva ucciso da due colpi di fucile mentre stava celebrando la santa messa.
L'arcivescono Oscar Romero era un uomo pericoloso. Pericoloso non perché uomo d'azione o perché tirava i fili dei movimenti di guerriglia salvadoregni, tra i quali era accusato di far militare anche dei sacerdoti da lui stesso ordinati, come padre Rutilio Grande – falciato da una mitragliatrice - o come don Octavio Ortiz – schiacciato da un autoblindo.
No, Romero era pericoloso perché parlava alla gente, a tutta la sua gente squadroni della morte compresi: coloro che venivano addestrati, con tecniche riprese dalle ss naziste, per epurare con il terrore il Salvador e che avevano incominciato a soffrire gli effetti delle loro azioni, incontrando in Romero un'aiuto a ritrovare la pace raccontando cosa avevano fatto.
Una cosa inammissibile e pericolosa, troppo, per il partito salvadoregno di estrema destra ARENA (Alianza Republicana Nacionalista) che deteneva il potere e che decise la fine dell'arcivescovo, mandando un cecchino alla cappella ospedaliera della Divina Provvidenza che centrò il prelato mentre stava elevando l'ostia per la consacrazione.
Il funerale dell'arcivescovo Romero venne interrotto dai militari, che spararono sulla folla compiendo l'ennesimo massacro, come quello di cui l'ecclesiastico aveva parlato nella sua ultima omelia, con bambini mandati nei campi minati per delimitarli.
A nulla era valsa l'udienza papale del 1979, quando Romero era riuscito a farsi ascoltare da Papa Giovanni Paolo II su ciò che stava accadendo nel suo paese: per Wojtyla Romero era un politicizzato, uno di quei prelati accusati di essere troppo vicini ad ambienti marxisti, e lo consigliò per un approccio più collaborativo con il governo del suo paese.
Ma Oscar Romero aveva già deciso di continuare a stare insieme alla sua gente, decidendo così il suo martirio, che presto sarà riconosciuto da Papa Francesco con la sua beatificazione.
Ma il popolo salvadoregno e sudamericano già lo aveva proclamato subito santo dei poveri, per il suo spirito denso di pietà e di compassione, per tutti loro, che stava incrinando la violenza cieca in Salvador, fatta di massacri come quello di Aguilares, dove oltre 200 persone vennero trucidate anche dentro le chiese.
L'assassinio dell'arcivescovo Oscar Romero per molti é consegnato alla storia del secolo passato, dopo che il Salvador ha ritrovato col tempo la democrazia e dopo che in parte é stato svelato il suo omicidio, ma dopo trentacinque anni la memoria della sua figura é ancora vivissima, con molte iniziative e pubblicazione di scritti postumi.
So che vogliono ammazzarmi – affermava Romero nella sua ultima omelia - so che sono nel mirino dei violenti. Ma sappiate: se morirò risorgerò nella lotta del mio popolo. Aveva ragione
VIDEO: il funerale dell'arcivescovo Romero. Cecchini sparano sulla folla dei fedeli