Sembrava un tabù, in uno Stato come l’Iran, tassare gli istituti religiosi, e invece il fatto che a capo del governo sia salito un moderato di sinistra, Hassan Rouhani, qualcosa ha contato. Non saranno proprio le leggi Siccardi persiane, ma di certo il provvedimento emanato il 23 febbraio è il primo tentativo in Iran, dalla caduta dello scià e la conseguente instaurazione della repubblica teocratica, di adeguare al regime tributario convenzionale anche gli enti di carattere confessionale. E non solo: secondo l’agenzia di informazione iraniana, Irna, fonte della notizia, esso colpirà anche le società legate alle forze armate.
La necessità impellente, per il governo di Teheran, sembra essere quella di incrementare la voce relativa alle entrate tributarie in vista della preparazione della prossima, imminente legge di stabilità , che sarà in vigore per il periodo compreso tra il 21 marzo 2015 e il 20 marzo 2016. Rouhani e i suoi ministri, infatti, debbono fare i conti con una realtà che dice che la tassazione in alcuni settori finora cruciali dovrà essere ridimensionata a causa della crisi: il riferimento più immediato, naturalmente, è al mercato del petrolio, dove si è assistito ad un collasso del prezzo del greggio dallo scorso giugno, e alle rendite derivanti da esso. In questa situazione, dunque, è giocoforza avere l’ardire di prelevare da ambiti considerati intoccabili per compensare gli squilibri della bilancia, e del bilancio, finanziari.