Una giornata che probabilmente Amnesty International segnerà sul proprio calendario, quella di domenica 1 febbraio. Sembra proprio che il mese inizi in modo promettente, sul fronte dei diritti umani. Nel corso della mattinata viene annunciato che le autorità egiziane hanno deciso di rilasciare, e di espellere dal Paese dei faraoni, due reporter stranieri che, nel dicembre 2013, erano stati arrestati insieme ad un reporter egiziano con l’accusa di aver diffuso “false notizie” in favore dell’ex presidente Morsi (il primo capo dello Stato del post-Mubarak eletto democraticamente, deposto da un colpo di Stato nel luglio di quell’anno). Si tratta di Peter Greste, australiano, e Mohamed Fahmy, canadese-egiziano, entrambi collaboratori della tv panaraba Al Jazeera. Essi erano stati condannati, esattamente come il terzo collega, Baher Mohamed, che però, a differenza loro, non è stato rilasciato, ad una pena detentiva estesa dai sette ai dieci anni. La decisione può essere un passo avanti non poco significativo nel riallacciamento dei rapporti diplomatici tra Egitto e Qatar, che si erano guastati proprio in seguito alla cattura e alla carcerazione dei due giornalisti in forza all’importante emittente araba che, come si sa, proprio a Doha ha la sua sede centrale (lì è stata fondata nel 1996).
A non molte ore di distanza dalla notizia di queste scarcerazioni, le agenzie ne hanno battuta un’altra dello stesso genere proveniente dall’Arabia Saudita. Qui, infatti, dopo circa novanta giorni dietro le sbarre nel carcere femminile di Gedda, è stata liberata l’attivista Suad al-Shammari che, oltre a dieci anni di reclusione, era stata condannata anche a mille frustate – di esse ne aveva già ricevute cinquanta, il 9 gennaio scorso - per aver offeso la sua religione, l’Islam, con tweet sarcastici. La al-Shammari è nota per aver fondato, insieme al blogger Raef Badawi, il Saudi Liberal Network Internet, uno spazio online di discussione laica sulla società saudita.