Avanti, marò. Di due caselle, fondamentali. Prima, il 14 gennaio, la Corte Suprema di New Delhi ha concesso a Massimiliano Latorre una proroga vitale (nel vero senso del termine, dato il suo stato di salute) della sua permanenza in Italia: per altri tre mesi il compagno di sventura di Girone potrà continuare a stare tra noi, e a curarsi nel migliore dei modi.
Poi, ventiquattr’ore dopo, il Parlamento di Strasburgo in seduta plenaria ha approvato un documento che esprime una posizione favorevole condivisa, in seno all’Ue, sull’opportunità che i due sfortunati fucilieri tornino una volta per tutte nel loro Paese. Un passaggio in particolare può inorgoglire Gentiloni e tutto il governo: “La competenza giurisdizionale deve essere attribuita alle autorità italiane”. Proprio quello che l’India, ostinatamente, contesta dall’inizio dell’affaire. In affiancamento all’Italia, oppure in sua alternativa, qualora realmente si accertasse che Roma non ha il diritto di esercitare la sua competenza, si può anche pensare ad un arbitrato internazionale: ma di certo non spetterà alla giustizia indiana giudicare e condannare quegli uomini.
Nel documento si esprime “grande preoccupazione per l’ingiusta detenzione dei due ufficiali”. E poi c’è anche una questione umanista, che si ricollega ai principi della carta ONU del 1948 e della Convenzione Europea del 1950: “I lunghi ritardi e le restrizioni alla libertà di movimento sono una violazione dei diritti umani”.
Pronta la risposta, irritata, di New delhi: il portavoce del governo indiano, Abkarrudin, ha definito “inopportuna” la risoluzione Ue.