Scongiurata la paralisi, nel burocratese degli States conosciuta come shutdown: la sospensione istantanea di tutte le attività governative, escluse quelle essenziali, in caso di mancato accordo parlamentare sulla legge per il finanziamento di un’amministrazione in carica. L’ultimo miracolo dell’era Obama è stato riuscire a trovare la quadra in entrambi i rami del Congresso per far passare la legge che consentirà ad Obama e ai suoi ministri (a Washington chiamati “segretari”) di avere copertura finanziaria fino al settembre 2015, cioè praticamente fino alla fine del secondo, burrascoso mandato (soprattutto sul piano interno). Dopo lo scontato via libera della scorsa settimana da parte del Senato (ancora a maggioranza democratica), tra il 13 e il 14 dicembre è arrivato anche il voto positivo della camera, non altrettanto scontato essendo quest’assemblea controllata dai repubblicani sin dal 2011. Si è trattato, comunque, dell’ultima volta in cui Obama poteva dirsi sicuro di avere dalla sua il voto di una delle due Camere: dal 2015 la situazione sarà diversa, e i voti favorevoli ai provvedimenti dell’amministrazione molto più tirati e traumatici.
Per il momento, comunque, ciò che conta è che, con cinquantasei sì e quaranta no, il testo del compromesso per lo stanziamento dei fondi all’azione di governo è potuto arrivare sul tavolo di Obama, pronto da firmare.
Un compromesso da millecento miliardi di dollari. Il presidente, però, è il primo a sapere che gli hanno messo in mano un portafogli dopo avergli sfilato le redini.