Che cos’è un contractor? Il termine è ciò che i Latini avrebbero chiamato vox media, in quanto da un lato ha un significato negativo, dall’altro ne ha uno positivo. Nell’accezione negativa contractor è praticamente un militare mercenario, spesso neppure regolare, ma anzi quasi un incrocio tra un soldato vero e proprio e un agente segreto. Su tutti i fronti dove gli Usa sono impegnati, in effetti, Il contractor “cattivo” è una sorta di livello intermedio tra il marine vero e proprio e l’uomo Cia, quando non sia in tutto e per tutto integrato nei quadri dell’intelligence. Si caratterizza comunque per il fatto di avere le mani libere per compiere le operazioni più “sporche”, così come le azioni più efferate. Nel senso migliore, invece, contractor è quasi sempre un operatore umanitario, un profilo professionale o un imprenditore che agisce per conto del governo Usa in un Paese estero con scopi sostanzialmente pacifici; anche in questo versante, però, bisogna ammetterlo, non sono infrequenti le coperture e soprattutto gli agganci con i servizi segreti.
Fra le tante storie di contractors buoni trasformati in “cattivi” c’è anche quella di Alan Gross, collaboratore dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Democratico (Usaid), un organismo creato da Reagan per coordinare gli aiuti umanitari targati Usa in un’area compresa tra America Latina, Africa, Asia ed Europa dell’Est. Gross era operativo a Cuba alla fine dello scorso decennio quando, correva l’anno 2009, venne arrestato col pretesto di distribuire illegalmente materiale elettronico (telefoni satellitari e apparecchiature informatiche) alla comunità ebraica dell’Avana; il vero motivo, in realtà, è che era sospetato di spionaggio, e per questo è rimasto in galera fino al 17 dicembre 2014.
Avrebbe dovuto rimanerci altri undici anni, in realtà (era stato condannato nel 2011 a quindici anni di carcere, e dunque al 2014 ne aveva scontati solo quattro), se non che il governo di Raúl Castro ha deciso di rilasciarlo anzitempo, in cambio della restituzione di tre agenti cubani detenuti negli Stati Uniti per spionaggio.
Prima e dopo questo “scambio” di persone, Obama e Castro si sono visti per uno scambio ben più importante: quello di vedute sui rapporti diplomatici Usa-Cuba. Volontà comune dei due leader sembra essere quella di avviare in modo deciso un processo di distensione tra i due paesi, che per gli Stati Uniti chiuderebbe l’ultimo, anacronistico fronte della guerra fredda e anche un sostanziale isolamento e per Cuba significherebbe dissolvere una cappa che ormai da anni blocca il suo sviluppo economico, l’embargo. Proprio sulla rottura dell’embargo Obama e Castro sembrano convergere in modo particolare: per l’inquilino della Casa Bianca si tratta di una misura “superata”, per il fratello del Líder Máximo la sua abolizione è il punto di partenza per ogni futuro riavviamento delle relazioni. Poi, secondo Obama si potrà proseguire con “negoziati rapidi, pe una riapertura dell’ambasciata Usa nell’isola in tempi stretti”, secondo Castro con “misure bilaterali basate sul diritto internazionale”. Pare che il regista di questo riavvicinamento Usa-Cuba sia stato papa Francesco, ringraziato da entrambi i capi di Stato nelle conferenze stampa seguite alla loro conversazione telefonica; e, a ben vedere, quel “Todos somos Americanos” pronunciato da Obama chiudendo il suo discorso, varrebbe anche per Francesco.