Nell’antichità si dava l’appellativo di “crisostomo” all’oratore dotato di eloquio fluente e parola illuminante. Per Hillary Clinton questo epiteto assume evidentemente un significato diverso. Non che i grandi oratori del passato non ricevessero un compenso per quello che dicevano, ma a quanto pare, come si apprende leggendo il Washington Post del 27 novembre, l’ex first lady d’America ed ex segretario di Stato Usa (e probabile candidata democratica alle prossime presidenziali) considera la “parola d’oro” come qualcosa di strettamente legato ad un determinato prezzo all’ora. Un prezzo alto.
Trecentomila dollari: è la sontuosa cifra che la Clinton non ha ancora incassato, ma pretenderebbe di incassare, sulla base di un tariffario consolidato, per un solo discorso pronunciato alla University of California – Los Angeles (UCLA), lo scorso marzo. Non è un mistero che sia Hillary che Bill (sì, proprio l’ex presidente, anch’egli riciclatosi come “crisostomo”) intaschino una fortuna con i loro interventi e le loro conferenze in giro per organizzazioni e atenei privati: peraltro tutti guadagni puntualmente devoluti alla fondazione benefica fondata dai due coniugi insieme con la figlia, Chelsea. Ma per gli atenei pubblici, si è permessa di chiedere l’University of California, sarà previsto un piccolo sconto? Neanche per idea, è stata la risposta dello staff di Hillary: trecentomila è la somma stabilita (oltretutto già scontata, si è fatto presente) e trecentomila è la somma che dev’essere versata. Qualcuno all’interno dell’ateneo ha ironizzato su come mrs. Clinton sia più cara del “maritino”, che per una prolusione accademica nella stessa UCLA alcuni anni fa si era limitato a chiedere “appena” duecentomila dollari. Sull’oneroso compenso da corrispondere ad Hillary (escluse, naturalmente, le particolari esigenze dello staff) c’è stata, comunque, tutta una trattativa via e-mail tra l’entourage di quest’ultima e l’ufficio amministrativo dell’università che Il Washington Post ricostruisce dettagliatamente. Per spuntarla, i collaboratori della senatrice sono stati addirittura costretti a tirar fuori il curriculum della Clinton , i suoi precedenti come speaker e, naturalmente, il suo listino prezzi. La pubblicazione del carteggio elettronico è, in realtà, solo l’ultimo aggiornamento di una vicenda di cui il Washington Post si era già occupato nel corso di quest’anno, più precisamente a giugno, quando su questa questione di esosità la Clinton si era già attirata delle critiche, e non solo da studenti e dipendenti della UCLA, ma persino da esponenti del suo stesso partito. Un piccolo moneygate sulla strada verso la Casa Bianca?