“Siamo un Paese democratico, il popolo ha sempre ragione”. Con queste parole, nella tarda serata di domenica 16 novembre, il premier rumeno in carica, il socialdemocratico Victor Ponta, ha ammesso la sua sconfitta alle elezioni presidenziali: il Renzi della Dacia, protagonista di una scalata politica fulminante negli ultimi quattro anni, non ce l’ha fatta a conquistare – al primo tentativo – la vetta del potere istituzionale nel suo Paese. Classe 1972, alla guida dell’SPD dal 2010, Ponta diventò capo del governo nel maggio del 2012, ma senza essere eletto: approfittò della caduta del gabinetto di Ungureanu a seguito di una mozione di sfiducia per farsi nominare al posto di quello. La sua posizione fu comunque legittimata con le elezioni parlamentari di dicembre, quando i social-democratici arrivarono ad ottenere il 58% dei consensi. Un exploit che Ponta sperava potesse ripetersi a beneficio della sua persona per la conquista di Palazzo Cotroceni (il palazzo presidenziale rumeno), ma così non è avvenuto: è stato il suo sfidante, il conservatore Klaus Iohannis, a superare il 50% (più precisamente ha ottenuto il 54%), mentre Ponta ha dovuto “accontentarsi” del 44.
Quanto avrà contato nella scelta dei cittadini rumeni l’endorsement fatto dalla cancelliera Merkel nei confronti di Iohannis? Di sicuro, a parte l’età (cinquantacinque anni), anch’egli, al pari di Ponta, si può definire un emergente della politica in Romania: docente universitario di Fisica, Iohannis è stato sindaco della città di Sibiu per tre mandati consecutivi, dal 2000 al 2008. Nel giugno del 2014 è diventato segretario del partito di centro-destra a cui appartiene, il PNL (Partito Liberale nazionale). Nel 2009 ha “rischiato” di vivere lo stesso destino che poi sarebbe toccato a Ponta: diventare premier senza passare dalle urne, dopo che il governo liberal-democratico di Emil Boc era entrato in crisi per un voto di sfiducia. In quel periodo si stava votando per le presidenziali, e il PNL, insieme al partito della minoranza magiara (l’UDMR), sostenne la necessità di varare un esecutivo di larghe intese che si pensava di far presiedere proprio a Iohannis. Poi, un’asse tra Boc e il capo dello Stato uscente, Băsescu, portò al superamento della crisi di governo e al Boc-bis.