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Apec, accordo per calendarizzare zona libero scambio regionale

Obama propone area senza Cina

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L’11 novembre, in un vertice tenutosi a Pechino, i ventuno Paesi dell’Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation) hanno “messo in agenda” la creazione di una zona di libero scambio regionale (con “regione”, naturalmente, si intende l’area costituita dall’insieme dei Paesi membri). “Mettere in agenda” è proprio l’espressione giusta: l’anfitrione di turno, il presidente cinese Xi Jinping, ha parlato infatti entusiasticamente di “road map”: come a dire, un programma di massima in cui sono già definiti tempi e tappe per il raggiungimento dell’ambizioso obiettivo: si pensi solo che la somma dei Paesi dell’Apec, con il loro volume di commerci, copre circa il 57% del Pil mondiale.
Ventiquattr’ore prima, sempre a Pechino, il presidente americano Obama era tornato alla carica con un suo vecchio pallino: il progetto di una zona di libero scambio a guida  Usa tra dodici paesi dell’area Asia-Pacifico (il Ttp, Partenariato Trans-Pacifico). Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico,Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam ma niente Cina, che della zona Apec è indubitabilmente il principale motore economico. Questa esclusione, naturalmente, non deve far pensare ad una posizione sinofoba dell’inquilino della Casa Bianca, visto e considerato che, a margine dello stesso vertice, Usa e Cina hanno trovato un vantaggioso accordo sull’abbattimento delle tariffe doganali relative alle esportazioni hi-tech, e sono anche riusciti a concordare un impegno reciproco per la riduzione dei gas serra, da attuarsi entro il 2025 per Washington, entro il 2030 per Pechino: la “chiusura” sembra più che altro coerente con la linea ufficiale di “rimprovero” nei confronti della Cina per la mancata apertura dello yuan al mercato, oltre che per le sistematiche violazioni dei diritti umani e della libertà di stampa.         

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