Probabilmente era scritto: la delfina di Lula eguaglierà il suo maestro anche nella durata della sua carica presidenziale. Di qui al 2018, sarà ancora Dilma Rousseff a guidare il Brasile. Il 26 ottobre la presidente uscente ha dimostrato di essere più forte delle critiche, più forte dei malumori che montavano nel Paese per la crisi economica, più forte dello scandalo Petrobras, e sicuramente più forte dell’ultimo ostacolo che si frapponeva fra lei e il ritorno a Palacio da Alvorada: Aecio Neves, il candidato di centrodestra. Al minimo dei gradimenti nei giorni infuocati (e neppure tanto esaltanti) dei Mondiali di calcio, Dilma d’acciaio ha saputo riguadagnare consensi nei mesi successivi, e così i centoquarantatré milioni di brasiliani recatisi alle urne per il turno finale l’hanno premiata un’altra volta, col 51% delle preferenze. Neves si è battuto con onore, ma non ha sfondato il 48%.
“Muito obrigada” (“Assai riconoscente”), ha cinguettato la nuovamente eletta su Twitter. “Abbiamo fatto il nostro dovere, vi ringrazio uno ad uno.” La Rousseff, in effetti, ha di che ringraziare singolarmente i suoi oltre cinquanta milioni di elettori, come a dire regione per regione. E’ riuscita ad imporsi in ben quindici dei ventisei Stati di cui si compone la confederazione brasiliana (praticamente in tutta la parte nordorientale del Paese) tra cui quello precedentemente governato da Neves, Minas Gerais: gli altri sono Amazonas, Pará, Amapá, Alagoas, Maranhão, Ceará, Tocantins, Piauí, Rio grande do Norte, Paraíba, Pernambuco, Sergipe, Bahia e Rio de Janeiro. Lo sfidante si è invece aggiudicato la maggioranza nel distretto della capitale, Brasilia, enei restanti undici Stati, cioè nel centro-sud: Acre, Rondônia, Mato Grosso, Goiás, Mato Grosso do Sul, San Paolo, Paraná, Santa Catarina, Rio Grande do Sul e, “exclaves” nel regno rousseffiano, Roraima ed Espirito Santo.
Ora l’obiettivo, dopo una dimenticabile stagione di tensioni sociali, è la riconciliazione nazionale. “Sono pronta al dialogo. Chiedo a tutti i brasiliani, nessuno escluso, di unirsi per il futuro del Paese.”